Lettera a Mattarella, ad Alexandria in me, a un Carabiniere

Presidente Mattarella, non solo gli arresti di sei Carabinieri e il sequestro della caserma dell’Arma di Piacenza, ma anche i recenti fatti di cronaca sulla Marina Militare a Taranto, i Colonelli e Generali di Aeronautica Militare, Esercito e Guardia di Finanza accusati di associazione a delinquere e turbativa d’asta, La chiamano in causa nella sua veste di Capo delle Forze Armate della Repubblica. È in atto una sedizione illegale che pone a rischio la vita e i risparmi dei cittadini da parte della totale forza, in senso letterale, dello Stato. Contro di essa ogni singolo cittadino è minacciato, senza alcuna possibilità di riparo e difesa, proprio per la immane sproporzione tra la sua debolezza individuale e la totale forza armata anche amministrativamente dello Stato. Non è solo a  Piacenza che si manifestano episodi inquietanti, ma lì abbiamo avuto un intero comando messo al servizio della vendita di sostanze fornite direttamente dalla grande piovra dello spaccio nazionale e internazionale. Torture, violenze fisiche, sessuali, come nei luoghi più bui e atroci della storia umana. Come può un comando cittadino rendersi completamente impermeabile e autonomo dai livelli provinciali, regionali, di macro area militare e nazionale? Presidente, so con certezza che per i suoi studi, la sua pratica delle leggi, la sua vicenda esistenziale e istituzionale non Le sfugge la profondità dell’onda d’urto manifestatasi. Un colpo all’intero Paese, interno ed internazionale, dato che nessuno all’estero si fiderà più dell’Italia, e questo proprio quando si sta profilando la prima formazione di un corpo europeo. Un debito verso il futuro ben più gravoso e squassante di quello economico. A me sembra, lo dico con tutto il rispetto e il senso delle proporzioni, che Lei dovrebbe seriamente meditare sull’occasione di convocare un vertice da cui conseguano precise linee operative che ci riassestino dalla scossa di profondità, prima che si propaghi disastrosamente.

Presidente Mattarella, mi permetta ora di ricordare un mio vecchio esame di filosofia politica, perché questo mi consentirebbe di unirla in questa lettera aperta ad Alexandria Ocasio-Cortez, la rappresentante del Partito Democratico al Congresso statunitense. Sa che è stata pubblicamente e pesantemente insultata da un rappresentante del Partito Repubblicano, il quale poi le ha chiesto scusa. Lei gli ha risposto con un discorso così limpidamente intelligente e fermo che ha fatto il giro del mondo via web. Il professore mi chiese a bruciapelo, proprio mentre l’esame sembrava finito, perché Aristotele considerava le donne inferiori agli uomini. La mia risposta fu l’unica errata di tutto l’esame, mi bruciò il trenta che avrei certamente conseguito. “Per la forza fisica”, fu la mia risposta. Mia, nel senso che dissi quello che pensavo io, non Aristotele. “No – replicò il prof – per l’intelligenza. Mi dispiace, ventotto”. Domanda e risposta mi rimarranno in eterno nella memoria. L’acutissimo discorso al Congresso di Alexandria me le ha subito richiamate. “Alexandria in me” lo dico perché lei rispondendo a quel congressman, interroga anche me, risponde anche a me. Al mio stesso aver avuto, coltivato in me quel pensiero aristotelico e aver spesso parlato e agito sulla sua scorta, pur sapendo che era un’impostura – insultante già di per sé. Da essa, infatti, scaturisce ogni altro insulto, aggressione morale e violenza fisica contro le donne. La forza, prima ancora che fisicamente, si costituisce innanzitutto come pensiero. Mi eleggo mentalmente a  forza, decretando simultaneamente la debolezza, di cui ho immediata necessità, per affermami come azione di sopraffazione, ontologicamente giustificata. Tutto il patriarcato imperante nel mondo è espressione di tale sopraffacente elezione mentale. Il permettersi di interi Stati di riconoscere legalmente e praticare la violenza contro le donne, lo è. Anzi: lo stesso distinguersi del mondo in uomo e donna innanzitutto lo è. “Alexandria in me”, invece, dovrebbe voler dire che in me maschio non c’è più l’impostura di una frontiera di genere che legittima, oltre ogni legge scritta e sancita, la sopraffazione e lo stupro senza con-fine.

Tanto più questo accade se la forza, nei processi sociali come in quelli religiosi, veste una sua divisa, un suo abito che già la contrassegna a prima vista in quanto tale. La necessità di fabbricarsi, di costruirsi tra le mani una debolezza, contro cui affermarsi, diventa impellente, irrefrenabile, proprio come una droga. Ho avuto modo di affermarlo in un’interlocuzione via social sul caso di Stefano Cucchi con l’allora senatore Luigi Manconi. È proprio contro gli esseri più deboli che la forza non può fare a meno, non resiste ad abbattersi in tutta la sua buia potenza. Un’oscurità fitta che è nel sottosuolo della Legge stessa, in quanto proprio essa emanata sulla scorta della forza. Per questo, Presidente Mattarella, Le scrivo, come se in questo Le – terza persona femminile – ci fosse anche in Lei, come in me, Alexandria Ocasio-Cortez e ogni altra lucida intelligenza e debolezza fisica femminile.

In tutta la sua vita, Presidente, Lei ha avuto vicinanza non solo istituzionale con i Carabinieri. Ora vorrei scriverle anche quale loro supremo Comandante, nella sua veste di Capo delle Forze Armate. ScriverLe, affinché non basti più solo aprire l’Arma alle donne, come avviene già da molti anni. Ma aprirla – anche in avanzamento di gradi e carriera – allo spirito e alla parola di Alexandria che è in Lei, in me, nell’alto ufficiale che a me sembra debba essere nominato per riportate limpidezza da Piacenza, lungo tutto il tormentato vertice, dal nostro sottosuolo, selciato, asfalto, terra arata di superfice, fino al suo elevato Colle.

La saluto distintamente Presidente, Alexandria, Carabiniere.

 

di Riccardo Tavani

 

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