La strategia di Hamas e l’errore di Netanyahu
I mandati d’arresto emessi dalla Corte Penale Internazionale nei confronti di alcuni protagonisti della guerra di Gaza hanno inevitabilmente provocato reazioni di segno opposto da parte dei governi di diversi Paesi, delle forze politiche e dei mezzi d’informazione. Ci si chiede, da un lato, a che cosa servano, o addirittura se servano a qualcosa; dall’altro se quel tribunale sia affidabile o se non sia ispirato più dalla politica che dalla giustizia. Come se non fosse difficile per qualunque tribunale essere totalmente giusto, o essere oggettivo e indipendente in maniera assoluta.
In realtà tutte le guerre sono crimini contro l’umanità, uccidono le popolazioni civili, bombardano le città, causano fame e malattie. Non credo si possa tracciare un confine tra guerra e crimini di guerra. Per fare qualche esempio, forse dovremmo considerare tali anche il bombardamento atomico di Hiroshima e Nagasaki, o quello convenzionale di Dresda, non meno sanguinoso; ma molti sono i crimini passati alla storia come atti di guerra, diciamo così, non criminosi. È per questo che mi considero pacifista: non esiste una guerra che non sia criminale, fatta salva la difesa contro un’aggressione armata. Ma anche in questo caso la guerra è una brutta cosa. In fin dei conti, il discrimine principale resta questo: essere l’aggredito o l’aggressore.
Tuttavia c’è un’altra considerazione da fare: la guerra può, per così dire, prendere la mano all’aggredito, può portarlo a superare i limiti accettabili della difesa e della reazione.
Ma vi sono anche altri punti di vista da considerare, non tanto sul piano delle convenzioni internazionali, quanto su quello della sostanza.
130 riservisti hanno sottoscritto una lettera al governo israeliano in cui chiedono un cambiamento di rotta. Notano che la guerra di Gaza non ha salvato nessun ostaggio, anzi ha causato la morte di alcuni. Ritengono che l’obiettivo non debba essere la distruzione di Gaza, ma il salvataggio dei rapiti, di cui non si sa ancora nulla, nonostante i bombardamenti e l’occupazione. Sollevano il dubbio che la guerra serva non ad Israele, ma a Netanyahu per mantenersi al potere, e ai suoi sostenitori più oltranzisti per conquistare nuovi territori, al fine di realizzare il sogno del “grande Israele”. «Lo abbiamo compreso di colpo a novembre quando, dopo il primo accordo con cui sono stati rilasciati 105 sequestrati, l’esecutivo ha deciso di riprendere i combattimenti», ha dichiarato uno dei riservisti firmatari dell’appello. «Non sono più disposto a uccidere o a morire per un governo che non rappresenta né me né gli interessi del Paese». Ritengono, infine, che la sicurezza di Israele abbia bisogno dei negoziati e degli accordi, non solo delle armi.
Dal punto di vista di Hamas, l’atroce pogrom del 7 ottobre è stato strategicamente efficace e lungimirante, ma la risposta di Israele si sta dimostrando miope e poco efficace, nonostante la sua schiacciante superiorità militare. L’efferatezza dell’attacco ai civili ebrei indifesi, con il gran numero di morti e le documentate atrocità commesse, è servita a garantirsi una risposta sanguinosa da parte israeliana, con le migliaia di morti che abbiamo visto. La mia impressione è che Israele sia caduto in una trappola: i rapiti sono passati in secondo piano rispetto all’obiettivo di annientare il “movimento islamico di resistenza”, già in passato colpevole di centinaia di vittime israeliane per azioni terroristiche e veri e propri atti di guerra come il lancio di missili. D’altronde si sa che Hamas nega il diritto all’esistenza di Israele e considera meritorio uccidere anche crudelmente qualunque ebreo. Si sa che semina odio contro Israele, ma oggi il governo israeliano, paradossalmente, sta aiutandolo a seminare odio.
Oggi in Europa si sta affermando nell’opinione pubblica un certo “antisionismo”, alimentato dal gran numero di vittime civili provocate dall’esercito israeliano a Gaza. Vorrei però ricordare le parole di Martin Luther King su questo tema.
“E che cos’è l’antisionismo? È negare al popolo ebraico un diritto fondamentale che rivendichiamo giustamente per la gente dell’Africa e accordiamo senza riserve alle altre nazioni del globo. È una discriminazione nei confronti degli ebrei per il fatto che sono ebrei, amico mio. In poche parole: è antisemitismo”.
La reazione israeliana ha raggiunto due obiettivi certamente non voluti: quello di rinfocolare l’odio e il revanscismo palestinese, e quello di indebolire la posizione internazionale di Israele e il sostegno dell’opinione pubblica nei paesi occidentali: due obiettivi molto dannosi.
Ecco perché la strategia di Netanyahu è miope e controproducente. Certo Israele non potrà eliminare fisicamente tutti i palestinesi e i loro alleati. Ma sta facendo di tutto affinché questi siano sempre più motivati e decisi verso il loro fine dichiarato, che è di eliminare lo Stato israeliano. Nel medio periodo diventa sempre più difficile una pacificazione stabile della regione. Ma la sopravvivenza stessa di Israele diventa più difficile, se non in uno stato di guerra permanente, nella quale i palestinesi più radicalizzati avranno buon gioco a fare proselitismo e a rinsaldare le loro alleanze internazionali.
La strategia delle organizzazioni islamiste antisraeliane, come Hamas ed Hezbollah, tende a costruire un futuro di odio e di guerra, ed è ciò che stanno ottenendo. Non dimentichiamo che il loro principale alleato è l’Iran, fautore della distruzione dello Stato ebraico e sostenitore di una politica oscurantista in cui le donne pagano il prezzo più alto. L’interesse di Israele, al contrario, è un futuro di convivenza pacifica, che si sta allontanando. D’altronde, chi fa la guerra dovrebbe anche pensare alla pace che, presto o tardi, inevitabilmente dovrà seguire.
Per tutto questo credo che la strategia di Netanyahu sia dannosa per gli interessi di Israele, come sostengono i riservisti firmatari della lettera ed i molti israeliani che scendono in piazza reclamando il salvataggio degli ostaggi.
Cesare Pirozzi