I neo predatori del terzo millennio
Il momento che stiamo vivendo sembra assumere sempre più l’aspetto di una svolta cruciale, anche se non nel senso più auspicabile.
L’aumento della temperatura media del Pianeta ha superato la soglia dell’1,5 gradi, finora considerata come un limite da non superare. Ci avviciniamo, anzi, sempre più ai 2 gradi, limite assai temibile per il futuro dell’umanità. Eventi climatici estremi si sono susseguiti durante l’ultimo anno con un crescendo inquietante: ricordo solo gli ultimi e più impressionanti, come la tempesta di neve in Florida e la siccità nelle finora verdi valli californiane, che ha causato incendi distruttivi e indomabili.
Nello stesso tempo, la politica ha assunto toni finora impensabili in diverse parti del mondo. Siamo rimasti tutti, credo, piuttosto impressionati dalle parole e dagli atti del neoeletto presidente degli USA. Parole tanto più preoccupanti, se lette in rapporto all’aggravarsi della crisi climatica planetaria, cui ha risposto con l’uscita dagli accordi di Parigi e con irresponsabili slogan come “drill, baby, drill”.
Ma non basta. Avevamo già sentito in passato qualche Capo di Stato dire di volersi impossessare di altri Paesi sovrani. I primi esempi che mi vengono in mente sono quelli di Hitler e Mussolini, che miravano all’intera Europa; ma anche Putin ha espresso più volte la volontà di appropriarsi, come ha fatto, della Crimea e, poi, dell’intera Ucraina, scatenando una guerra che sembrava prima impensabile. Ma la bulimia di Tramp, che dichiara di voler acquisire la Groenlandia, Panama, il Canada e, infine, la striscia di Gaza, è apparsa davvero sorprendente e, visti i precedenti, molto preoccupante.
Ancora una volta, ciò che inizialmente si presentava come patriottismo (America first, make America great again) si sta rivelando la solita becera forma di nazionalismo: lo abbiamo già visto all’opera nella storia recente, con risultati rovinosi per il mondo e per gli stessi nazionalisti.
Purtroppo il problema geopolitico va a braccetto con quello ambientale: la parola d’ordine delle leadership di destra, in America come in Europa, è privilegiare l’economia – ma, in realtà, l’interesse di pochi – ignorando stolidamente i problemi della crisi climatica, sebbene sempre più vistosi e drammatici. Quindi, uso illimitato del fossile (“drill, baby, drill”) in USA, “piano Mattei” qui da noi, che di nuovo mette il fossile al centro della politica e dell’economia.
Si potrebbe avere l’impressione che geopolitica e problema ambientale siano due temi diversi, ma in realtà entrambi hanno in comune l’obiettivo di aumentare la ricchezza, ma soltanto per chi è già straricco. La gente comune si tenesse pure i suoi incendi, le sue alluvioni, la sua siccità e i danni economici che ne derivano.
Oltretutto gli USA hanno fatto, con Trump, una incredibile inversione di marcia sugli ideali che storicamente hanno caratterizzato quel Paese, come la difesa della libertà sia a livello economico, sia a livello politico.
La minaccia di dazi sulle importazioni nulla ha più a che vedere con il mercato. Se in passato i dazi sulle le merci cinesi erano giustificati dalla distorsione del mercato causata dagli stessi cinesi con il massiccio intervento statale, oggi i dazi sono usati come leva per piegare altri Paesi alla volontà degli USA: una forma di ricatto politico senza precedenti. Infine, minacciare dazi ai Paesi europei perché l’Europa “ci tratta male” ricalca lo schema del vittimismo già visto in altre occasioni e va contro ogni legge di mercato.
Ma il libero mercato ormai sembra interessare poco, l’attenzione è rivolta agli oligopoli. Non a caso spiccavano tra gli invitati all’insediamento di Trump alcuni tra i maggiori oligopolisti degli USA e del mondo: Musk, Bezos, Zuckerberg, Shou Zi Chew (CEO di Tik Tok).
Pochi i politici stranieri presenti alla cerimonia: Giorgia Meloni, con una delegazione di Fratelli d’Italia e dei Conservatori Europei, Javier Milei, Nigel Farage, Éric Zemmour e Tino Chrupalla (leader dell’ultradestra tedesca). Gli ultimi tre, ovviamente, non hanno alcun ruolo istituzionale e, tramite loro, Trump ha mandato il chiaro messaggio di voler privilegiare i rapporti politici con l’antieuropeismo e la destra estrema, a scapito di quelli istituzionali. È difficile riconoscere l’America che il secolo scorso intervenne in armi contro il nazifascismo: viene da pensare che, se fosse stato Presente all’epoca, Trump si sarebbe schierato dall’altra parte.
Non che gli USA non abbiano dato anche in passato segnali di una certa gravità. Alla morte di Henry Kissinger, l’ex vice consigliere per la sicurezza nazionale Ben Rhodes scrisse un editoriale sul New York Times dal titolo «L’ipocrita», in cui afferma: «Kissinger ha incarnato il divario che c’è tra la storia che l’America, la superpotenza, racconta e il modo in cui agisce nel mondo. A volte opportunistica e reattiva, la sua fu una politica estera innamorata dell’esercizio del potere e priva di preoccupazione per gli esseri umani, lasciati per strada». In particolare ricorda i bombardamenti americani sulla Cambogia e il ruolo del governo americano nel golpe cileno del 1973, che insediò al governo di quel Paese il generale Augusto Pinochet, i cui crimini tutti ricordiamo. Nei suoi anni da segretario di Stato, Kissinger – continua l’editoriale – «contribuì a estendere la guerra in Vietnam e ad espanderla in Cambogia e Laos, dove gli Stati Uniti sganciarono più bombe di quante ne sganciarono su Germania e Giappone durante la Seconda guerra mondiale». Rhodes ricorda poi il ruolo attivo di Kissinger nel sostenere «le campagne di genocidio del Pakistan contro i bengalesi e dell’Indonesia contro gli abitanti di Timor est»[1].
Inoltre, noi italiani ricordiamo bene i sospetti sul ruolo di Kissinger nello stragismo degli anni di piombo e le parole di minaccia che sconvolsero Aldo Moro.
Ma oggi non c’è l’attenuante della guerra fredda e, comunque, i presidenti americani dell’epoca usavano (almeno pubblicamente) un linguaggio molto più rispettoso e moderato.
Un recente documentario (Dark Gothic MAGA: How Tech Billionaires Plan to Destroy America) postato su Youtube[2] adombra una sorta di cospirazione per creare un “patchwork” di piccole città-stato governate direttamente dai “tech billionaires”, con bitcoin come valuta corrente. Tutto al fine di sottrarsi alle leggi ed alle imposte che governano noi povere persone comuni. In tale ottica sarebbero da considerare i primi ordini esecutivi di Trump che, anzi, sarebbe semplicemente il terminale di un’organizzazione dietro le quinte, tendente a governare non soltanto gli USA, ma quanta più parte possibile del mondo, senza dover rendere conto ad alcuna istituzione democratica.
Non nascondo di essere poco incline al complottismo, che guardo, generalmente, con molto sospetto. Ma anche il Presidente Mattarella, da Marsiglia, ha sottolineato i problemi che possono derivare dalle “ambizioni di attori che ritengono di poter giocare una partita in nuove e più favorevoli condizioni, con l’attenuarsi delle regole rappresentate dalle possibili reazioni delle comunità internazionali”. Mi sembra, infatti, di capire che anche lui vede un pericolo non dissimile dalla deriva autoritaria che ha caratterizzato Italia e Germania nello scorso secolo, quando “fenomeni di carattere autoritario presero il sopravvento in alcuni Paesi, attratti dalla favola che regimi dispotici e illiberali fossero più efficaci nella tutela degli interessi naziionali”, quando “anziché cooperazione… a prevalere fu il criterio della dominazione, e furono guerre di conquista”.
Ma, anche secondo Mattarella, preoccupano le “figure di neo predatori del terzo millennio, novelli corsari a cui attribuire patenti, che aspirano a vedersi affidare signorie nella dimensione pubblica per gestire parte dei beni comuni, rappresentati dal cyberspazio nonché dallo spazio extra atmosferico, quasi usurpatori delle sovranità democratiche”. “Oggi come allora [negli anni 30] si allarga il campo di quanti, ritenendo superflue, se non dannose per i propri interessi, le organizzazioni internazionali, pensano di abbandonarle. Per interesse di chi? dei cittadini? dei popoli del mondo? Non risulta che sia così. Le conseguenze di queste scelte, la storia ci insegna, sono purtroppo già scritte. È il momento di agire, ricordando la lezione della storia”.
Non si può certo tracciare il nostro Presidente di complottismo, ma l’allarme che ha lanciato non è molto lontano dalle ipotesi formulate nel documentario sopra citato.
È davvero il momento di agire. Spero che le forze politiche più consapevoli e sensibili ai valori della democrazia se ne rendano conto, e smettano di perdersi in beghe di parte, per trovare un’efficace intesa comune.
Cesare Pirozzi
[1] The New York Times, 30/11/2023
[2] https//www.youtube.com/watch?v=5RpPTRcz1no