Guerra e pace

Tra le molte esternazioni del Presidente Trump (più o meno veritiere) non poteva mancare la rivendicazione del ruolo militare esercitato dagli USA in Europa dalla seconda  guerra mondiale ad oggi. A partire dal vertice NATO del 2018, King Donald si è spesso lamentato che l’Europa non è “riconoscente” per la costosa protezione militare ricevuta.

In effetti gli USA hanno speso molto per mantenere una forte presenza militare nel vecchio continente: circa 100 milioni di dollari l’anno negli anni 80 (a parte vari extra); la metà, o poco meno, negli ultimi decenni, dopo la caduta del regime sovietico.

In Italia, in particolare, hanno avuto circa 20 basi principali (tra le quali Aviano, Sigonella, Camp Darby, Gaeta) e una cinquantina di installazioni minori. Alcune sono state chiuse, ma le principali sono rimaste operative e potenziate, anche se la Russia non aveva più le proprie basi negli ex Stati satelliti, come Polonia, Ungheria, Cecoslovacchia. Valga come paradossale esempio la denuclearizzazione dell’Ucraina, che avrebbe dovuto – tra l’altro – garantirle l’inviolabilità dei confini.

Trump sembra, però, dimenticare che le installazioni e le relative spese erano necessarie, prima di tutto, alla politica estera degli USA: non erano un atto di benevolenza nei confronti dei poveri europei, ma una necessità dettata dal ruolo geopolitico, cui gli USA non intendevano rinunciare.

A sua volta l’Europa, e in particolare l’Italia, subiva una certa limitazione della propria sovranità. Per esempio, era noto che a nessun costo il Partito Comunista avrebbe potuto vincere le elezioni, o comunque andare al governo: il famoso “fattore K”, secondo la definizione di Alberto Ronchey. Lo stesso compromesso storico fu osteggiato in tutti i modi, anche in modo cruento. Evidentemente non ricordavano che il PCI era già stato al governo e che un “comunista” (Umberto Terracini) aveva presieduto l’Assemblea Costituente, senza che ciò avesse alcuna conseguenza sul piano internazionale.

Io condivido in pieno l’opinione di Enrico Berlinguer, che la NATO fosse da preferire al patto di Varsavia; tuttavia, ricordando la nostra storia recente, compresa la strategia della tensione degli anni 70 e 80, non posso non riconoscere che l’ombrello protettivo americano sia stato anche un vincolo che in qualche misura ha limitato la nostra libertà ed è stato pagato anche con sofferenze e lutti. In buona sostanza, in cambio della difesa offerta dagli USA e dalla NATO, siamo stati in una condizione di vassallaggio; ma, dal momento che gli USA difendevano prima di tutto i propri interessi, non possono oggi rinfacciarci le pur ingenti spese finora sostenute, che erano inevitabilmente parte del gioco.

Infatti, ora che i principali interessi americani si sono spostati su altri fronti, molto candidamente Trump ci ha detto: ora arrangiatevi, non ci servite più; anzi, beccatevi pure i dazi, a meno che non vi accolliate un po’ del nostro debito, non compriate il nostro fossile e i nostri sistemi d’arma. Perché a questo mirerebbe, secondo alcuni osservatori, la minaccia delle “tariffe”, che tanto lo entusiasmano.

Per questo insieme di cose, il voltafaccia americano non è così negativo per noi europei. Al contrario, molto di più rischia di costare agli ucraini, precedentemente incoraggiati alla guerra contro la Russia, e molto di più è costato agli afgani, in seguito all’accordo con i talebani che proprio Trump aveva sottoscritto durante il precedente mandato.

Per l’UE il voltafaccia è certamente un rischio, che forse possiamo e dobbiamo correre in cambio del recupero di una più completa autonomia e libertà. D’altronde, anche i ragazzi devono imparare a fare a meno di molte protezioni, man mano che crescono.

Dispiace, semmai, che l’Europa non sia ancora pronta a cogliere questa opportunità.

Dovremmo costruire un esercito comune, ma questo comporterebbe una politica estera comune, senza veti e personalismi. Davvero difficile, con l’attuale struttura comunitaria. Ma purtroppo il tentativo di adottare una Costituzione Europea – con le importanti novità di un Ministro degli Esteri e della sostituzione dell’unanimità con la maggioranza qualificata – è naufragato per la bocciatura referendaria subita in Francia e Olanda nel 2005.

L’alternativa oggi proposta dalla Von der Leyen è dispendiosa quanto poco promettente: aumentare le spese militari per fare 27 piccoli eserciti un po’ più agguerriti. Ne vale la pena?  

O forse si è deciso di rabbonire il nostro cosiddetto alleato americano comprandogli armi per rafforzare la NATO? Che vorrebbe dire restare ancora vassalli, ma a più caro prezzo.

Non ne sono certo, ma temo che di questo si tratti. Sono però certo del fatto che uno Stato – o un’unione di Stati – non è davvero libero se non è in grado di difendersi, anche se con un aumento di spesa, purché sensato e razionale. Questo, con buona pace dei sedicenti pacifisti, altro non è che il prezzo dell’indipendenza e della libertà, che hanno un valore inestimabile e sono il vero presupposto alla pace. Delegare la difesa a un “alleato” esterno – ammesso, poi, che sia ancora un alleato – non vuol dire essere per la pace. Vuol dire, se mai, delegare ad altri la possibilità e la volontà di pace, ma anche la facoltà di optare per la guerra.

Cesare Pirozzi