La ‘Ndrangheta esiste

Martina

Il 17 Giugno 2016, a distanza di 24 anni dalla sentenza che sancì l’esistenza di Cosa Nostra, la Cassazione riconosce definitivamente l’esistenza della ‘Ndrangheta quale organizzazione di tipo mafioso.
La conferma arriva a seguito della prima sentenza emessa il 6 Giugno nel 2014 dai giudici della Corte d’Appello di Reggio Calabria in merito all’inchiesta denominata Crimine. Inchiesta guidata dagli allora Procuratori aggiunti di Reggio Calabria, Nicola Gratteri e Michele Prestipino, l’ex Procuratore capo di Reggio Calabria, Giuseppe Pignatone e dai sostituti Procuratori Maria Luisa Miranda, Antonio De Bernardo e Giovanni Musarò e che, nel Luglio del 2010, ha condotto all’arresto di circa 300 persone tra Calabria e Lombardia.
24 anni di distanza dalla sentenza del Maxi processo sono un abisso. Per oltre un ventennio la ‘Ndrangheta ha potuto godere del cono d’ombra proiettato dall’emergenza costituita dalla mafia siciliana e in quell’ombra ha proliferato. Mentre lo Stato combatteva ( per così dire) la propria battaglia contro Cosa Nostra, la ‘Ndrangheta acquisiva pressoché il monopolio del traffico di cocaina, impadronendosi della gran parte dei canali di transito dell’oro bianco. Uno su tutti, il porto di Gioia Tauro dove approda la droga proveniente dal Sud America che gli ‘ndranghetisti rivendono ai colleghi mafiosi.
Un giro di affari abnorme che, secondo le stime fornite dall’Eurispes ( Istituto di Studi Politici Economici e Sociali) vale più di 50 miliardi di euro l’anno. Come spiegato recentemente da Michele Prestipino, ora Procuratore aggiunto di Roma, durante il suo intervento a RepIdee 2016, queste risorse economiche, in buona parte liquide, sono tali da rendere la ‘Ndrangheta un competitore economico con problemi inversi ai competitori legali: in sostanza possiedono più risorse di quelle che sono in grado di investire.
Certo è che gli investimenti comunque non mancano e da Roma, a Milano, a Torino, passando per la Liguria come per l’Emilia Romagna, gli affari vanno a gonfie vele. La Lombardia, in particolare, sembra rappresentare una vera e propria roccaforte ‘ndranghetista, raccogliendo tutti gli affiliati del Nord Italia. A tutto vantaggio di questa macchina perfettamente oliata, è andata l’incapacità di superare una visione frammentaria e particolarista della situazione. Per anni, si è pensato che la ‘Ndrangheta non fosse altro che una costellazione di famiglie criminali senza vertice, senza struttura.
Ora il marchio è finalmente definitivo ed irrevocabile. La ‘Ndrangheta esiste ed è una sola, provvista di una propria organizzazione di tipo mafioso e di un organismo collegiale di vertice definito Crimine o Provincia. La radicazione sul territorio è capillare. Reggio Calabria rimane la capitale, ma il territorio viene poi suddiviso in tre aree (Tirrenica, Jonica e Città), denominate mandamenti, all’interno delle quali dominano società e locali, composte a loro volta dalle famose ‘ndrine (famiglie). Una struttura resistente, tanto da essere esportata ben oltre i confini della regione calabrese.
Secondo gli ultimi dati ufficiali – stimati a ribasso – le ‘ndrine calabresi sarebbero in tutto 144, per un totale di circa 6000 affiliati. Picciotti, Camorristi, Sgarristi, Santisti, Vangelisti, Quartini, Trequartini , Padrini e, in cima, Capobastoni, questa la carriera degli ‘ndranghetisti.
Dal 2009, dopo la celebre riunione a Polsi, catturata dalle immagini dei Carabinieri, il Capocrimine (o Capobastone, che dir si voglia) è don Mico Oppedisano. Il suo compito all’interno della struttura , secondo quanto ricostruito dall’inchiesta Crimine, è quello essenzialmente di garante, “con compiti di decisione, pianificazione e individuazione delle azioni e delle strategie e altresì impartendo direttive agli associati”.
Un sistema solido, confermato dallo scarsissimo numero di pentiti.
“È una sentenza importante perché riconosce in via definitiva l’unitarietà della ‘Ndrangheta”, è il commento a caldo di Gratteri.
Una sentenza attesa e finalmente arrivata, una sentenza frutto di un lavoro coordinato di due Procure, quella di Reggio Calabria e quella di Milano.
La dimostrazione che, quando l’azione di contrasto è globale, quando si creano sinergie nella lotta alla mafia, la differenza c’è e si vede con risultati concreti.
L’abisso temporale e l’enorme ritardo nell’azione di contrasto alla ‘Ndrangheta hanno mostrato le loro rovinose conseguenze.
Forse, finalmente, è stato messo un punto dal quale ripartire. Insieme.

di Martina Annibaldi

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