Di nuovo al confino!

Ho sempre sospettato che la prima ministra Meloni non avesse una cultura adeguata al ruolo che riveste. Mi riferisco, ovviamente, alla cultura politica, non certo a quella più ampia, che pure è necessaria. D’altronde un po’ d’incultura fa gioco ai populisti: li aiuta nel nobile compito di infinocchiare il popolo, perché possono così mentire a propria insaputa, dicendo con sincerità cose semplicemente false.

Tuttavia la premier nel suo discorso sul Manifesto di Ventotene ha dimostrato quasi una forma di analfabetismo funzionale nel senso che, avendolo letto, non l’ha capito.

Ne ha letteralmente capovolto il significato, presentandolo come se esso propugnasse l’abolizione della proprietà privata e della democrazia, quando in realtà i suoi estensori hanno detto (e fatto) proprio il contrario.

Sulla proprietà privata, il testo di Spinelli e Rossi sostiene con chiarezza –  contrariamente al senso datogli da Meloni – che non si dovesse abolirla, come era avvenuto nel sistema sovietico per la cieca applicazione di un assunto ideologico. Tale scelta viene, anzi, criticata esplicitamente come fallimentare, anche rispetto agli interessi delle classi lavoratrici. In sostanza, il documento sostiene che è necessario governare la proprietà privata, per evitare che i grandi potentati economici possano imporre agli Stati la propria volontà, anziché essere da questi controllati nell’interesse del bene comune.

Queste considerazioni appaiono quasi profetiche, alla luce della storia più recente. Basti pensare al ruolo delle grandi compagnie petrolifere, che hanno attivamente e scientemente occultato o mistificato i dati sull’effetto serra, condizionando l’opinione pubblica e le scelte politiche; allo strapotere delle grandi banche, una delle quali, da sola, ha determinato la più grave crisi economica degli ultimi trent’anni e tra la più gravi dell’epoca moderna; al peso delle grandi concentrazioni farmaceutiche, dotate ormai di capitali superiori al PIL di molti Stati sovrani; agli oligopoli, oggi entrati direttamente nel governo degli USA, ma forse non per fare l’interesse generale dei cittadini. In Italia, per fare un esempio, la nazionalizzazione dell’energia elettrica o la riforma agraria, che hanno contribuito al nostro benessere e alla rinascita economica del dopoguerra, hanno posto dei limiti alla proprietà privata, ma senza mai abolirla, tanto è vero che oggi prospera come non mai e, oltretutto, si arricchisce in misura maggiore del PIL, mentre decrescono stipendi e salari: sono queste le ingiuste diseguaglianze che i governi dovrebbero temperare.

Ecco, infatti, cosa sostiene il Manifesto: “Il principio veramente fondamentale del socialismo, e di cui quello della collettivizzazione generale [cioè di tipo sovietico] non è stato che una affrettata ed erronea deduzione, è quello secondo il quale le forze economiche non debbono dominare gli uomini, ma — come avviene per le forze naturali — essere da loro sottomesse, guidate, controllate nel modo più razionale, affinché le grandi masse non ne sieno vittime”.

Gli estensori del Manifesto non erano, infatti, comunisti e non negavano la proprietà privata di per sé stessa per un principio ideologico. Spinelli era socialista, Rossi era un economista e operò nel Partito Azionista e poi in quello Radicale, Colorni faceva riferimento ai socialisti di Rosselli e di Pertini, finché non fu ucciso dai fascisti della banda Koch.

Oltretutto quel principio non è solo “di sinistra”: anche il conservatore Churchill sosteneva che il capitalismo si difende tassando le eredità e i patrimoni, cioè governando la proprietà privata.

Per quanto riguarda l’altro passo incriminato, quello sulla dittatura, anche qui il fraintendimento mi sembra eclatante.

Il partito socialista è definito rivoluzionario rispetto alle dittature che all’epoca governavano l’Europa, dal momento che mirava a ribaltarne i fondamenti. Ma anche rispetto al rischio concreto che, una volta finita la guerra, potessero nuovamente predominare le stesse forze sociali che avevano portato alle dittature e alla guerra, riportando l’Europa verso un futuro altrettanto pericoloso. Non c’è da scandalizzarsi per questa definizione, né ha senso prenderne le distanze: grazie a quella rivoluzione noi oggi siamo liberi ed è potuta iniziare una nuova fase della storia.

Ed infine, dal momento che, all’epoca in cui il Manifesto fu scritto, l’Europa era governata da regimi dittatoriali, come avrebbe potuto quel partito avere “una preventiva consacrazione” da parte dei cittadini, che solo dopo anni poterono di nuovo esprimere opinioni politiche e votare? Ecco che la cosiddetta “dittatura”, altro non è che il coraggio e la responsabilità di iniziare subito una lotta politica, senza aspettare espressioni di consenso impossibili a realizzarsi in quel momento storico, ma comunque con il fine di restaurare al più presto la democrazia. Come si può non capirlo? come si può attribuire una voglia di dittatura nel suo senso deteriore a coloro che per la dittatura soffrivano e rischiavano la vita?

Se per un verso la premier Meloni ha frainteso (o voluto fraintendere) questi argomenti, dall’altro ha capito benissimo che il Manifesto di Ventotene non le piace: non è quella l’idea di Europa che lei vorrebbe e per cui lavora, e perciò agita i fantasmi di un attacco alla proprietà privata e alla democrazia.

Infatti, l’Europa immaginata da Spinelli (e purtroppo incompiuta, nonostante il contributo della sua successiva attività politica) è un’Europa federale, con un’unica politica estera, una comune economia e un esercito comune. È un’Europa attenta ai diritti di tutti e al benessere delle classi più povere, e che sa resistere alle pressioni delle multinazionali economiche e industriali. Non è l’Europa delle nazioni,  propugnata da FdI, ma un’Europa sovranazionale: l’unica che possa ottenere un posto nel mondo degno della sua storia plurimillenaria, e che possa non essere minacciata e dileggiata dai prepotenti di turno. L’Europa delle nazioni – che poi è quella attuale, in cui ogni Stato ha diritto di veto, una sua politica estera, un diverso sistema fiscale e un suo esercito – è quella cui si può mettere paura minacciando guerre commerciali o militari, o che si può insultare tranquillamente (“patetica” e “scroccona”, secondo il governo USA).

Come spesso succede, le parole alla fine rivelano il pensiero di chi parla. E infatti Giorgia Meloni ha rivelato con chiarezza da che parte stia. Sta dalla parte dei grandi capitali e degli oligopoli, cui si opponeva il gruppo di Ventotene; dalla parte delle forze che favorirono il fascismo, di cui il Manifesto paventava il ritorno.

Se ha sentito di dover parlare contro un gruppo di antifascisti perseguitati dal regime, nulla ha creduto di dover dire contro il regime che li perseguitava. Secondo me, le sembra giusto che quei facinorosi fossero al confino.

Cesare Pirozzi