Il su e giù dei dazi trumpiani: sembra follia, ma è una lucida fregatura
Certo, anche a noi persone comuni piacerebbe sapere dove sta andando il mondo, tra guerre, dazi e crisi climatica. Anzi, dovremmo saperlo, visto che il mondo lo abitiamo e siamo noi a pagare le conseguenze dI quel che combinano i nostri governanti; e visto che i governanti dobbiamo – o dovremmo – eleggerli noi, possibilmente con cognizione di causa.
Per esempio, non è facile capire la politica del presidente USA sui dazi, e soprattutto che conseguenze avrà e cosa si deve fare per evitare troppi danni.
La versione ufficiale è che Trump voglia riequilibrare la bilancia commerciale degli USA, danneggiati a suo dire dai dazi messi dall’Europa e dagli altri Paesi del mondo, comprese alcune isole disabitate. Ma questa motivazione è palesemente falsa. L’Europa, infatti, esige dazi pari in media al 3% sulle merci americane, e li ha messi con l’autorizzazione del WTO per compensare alcune misure protezionistiche del governo USA a favore dell’industria aeronautica americana. Quanto alle isole disabitate, i dazi, è difficile che possano metterli. Niente a che vedere con la cifra del 39% sbandierata da Trump riguardo all’Europa; e, per quanto scemo si possa – erroneamente – considerarlo, non puo certo fare un errore così marchiano.
Ma come capire, allora, come stanno davvero le cose? E perché Trump mente in modo così plateale?
Poiché Trump, per nostra fortuna, parla molto, qualche ragione più vera si può desumere dalle sue stesse parole. Per esempio, recentemente ha affermato: “incassiamo 2 miliardi al giorno, presto saremo ricchi”; poi ha detto, più o meno, che tutti “mi baciano il culo” per trattare sui dazi e che adesso è il “nostro turno di fregarli”. Queste parole spiegano abbastanza bene che l’intento è duplice: da una parte fare cassa, dall’altra affermare un dominio non solo economico, ma anche politico sul mondo. D’altronde, diversi analisti economici sostengono che il problema di Trump è come ridurre il crescente debito USA senza, però, aumentare le tasse o instaurare un regime di austerity. Il progetto sembra esser quello di far pagare il debito americano al resto del mondo. Ora, non ci vuol molto a capire che il resto del mondo si impoverirenbe per pagarlo, mentre l’economia americana farebbe, o almeno lui spera, un balzo in avanti. O forse no, perché i dazi li pagano anche i consumatori americani. Alcuni analisti si spingono a dire che l’obiettivo a più lungo termine è di ottenere una recessione economica mondiale: impoverire tutti per recuperare il primato americano, che si temeva in caduta.
In altre parole, il piano di Trump sarebbe di far grande di nuovo l’America, ma a spese nostre. Nella migliore delle ipotesi, è come se volesse far pagare a noi le tasse che non vuol far pagare agli americani, con l’ulteriore differenza che queste tasse improprie sarebbero inversamente proporzionali alla ricchezza: si sa bene, infatti, che le crisi economiche le pagano soprattutto i più poveri.
Nella peggiore, si tratterebbe di una recessione profonda, da cui usciremmo in tempi lunghi, ma con una perdita di autonomia.
Ed ecco perché è costretto a mentire: mai e poi mai potrebbe esplicitare le sue intenzioni.
Per finire, l’alternanza un po’ ciclotimica delle dichiarazioni sui dazi (li metto, li tolgo, li aumento, li rinvio) fa andare su e giu le borse, come raramente era accaduto finora. Con salti pari a migliaia di miliardi, che rischiano di mandare qualcuno a gambe all’aria, mentre altri possono fare grandi guadagni sulle oscillazioni; ma che, comunque, alterano impropriamente i mercati e pongono un’inevitabile domanda: ma lui sarà rimasto a guardare? Infatti l’invito su X da parte del tycoon a comprare azioni, ha sollevato un’accusa di insider trading a suo carico. A questo si aggiungono le frasi, filmate durante un incontro nello studio ovale, con cui indicava alcuni imprenditori che avevano appena realizzato guadagni milionari o miliardari.
La moratoria di 3 mesi stabilita da Trump per l’Europa, con ulteriori scossoni su e giù delle borse, non mi sembra corrisponda ad un ripensamento. Si tratta di un invito a “negoziare”, ma temo che non si tratterebbe di un vero negoziato. Probabilmente si tratterebbe di far accettare misure alternative ai dazi, ma altrettanto onerose, come per esempio l’acquisto di gas o di altri prodotti americani, al fine, comunque, di scaricare su di noi le loro difficoltà di bilancio. Ma il ricatto implicito in un negoziato di questo tipo (o compri americano o ti metto i dazi) non è un modo di fare serio né accettabile. L’essenziale, per Trump, è che l’economia americana ne tragga un vantaggio a scapito degli altri partner commerciali. Questo concetto lo ha espresso ripetutamente, anche se con parole più pittoresche.
L’aspetto economico, che è già abbastanza grave di per sé, è poi condito di rilevanti ricadute politiche: le parole abitualmente usate fanno percepire abbastanza bene che Trump sogna un mondo in cui buona parte degli altri Paesi siano vassalli degli USA. Altrimenti non si permetterebbe di dire che vuole annettersi il Canada, Panama e la Groenlandia: possibilmente con le buone ma, se non acconsentono, anche con le cattive.
Mi sembra purtroppo chiaro che la nuova America di Trump non è per niente preoccupata dalla guerra. Se lui dice – a parole – di voler porre fine a quelle in Ucraina e in Medio Oriente, con I fatti dimostra di non spingere davvero per la pace. Se mai, spinge per la vittoria di uno dei contendenti e per la colonizzazione degli sconfitti, vuoi per metterci resort turistici, vuoi per sfruttarne le risorse minerarie. Ecco perché non ha ottenuto la pace in 24 ore, come annunciava di fare.
Né è preoccupata della crisi climatica che, secondo Trump, non esiste, ma possibilmente deve essere aggravata spingendo sul consumo dei combustibili fossili. Ma anche la crisi ambientale la paga la gente comune, con le siccità e le alluvioni, con il conseguente impoverimento e con i milioni di morti dovuti all’inquinamento e agli eventi estremi. Col tempo, i grandi capitali la pagheranno anche loro, ma a quanto pare ancora non lo sanno.
Se una persona comune come me, alla fine, ha capito dove si va a parare, sembra strano che alcuni politici non lo capiscano. Dicono che i dazi non sono un dramma, niente allarmismi, anzi per qualcuno sono addirittura un’opportunità. Forse le parole hanno perduto il loro senso, perché non puoi pensare che, quando uno dice di volerti “fottere” (scusate se uso lo stesso termine di Trump), sia ancora il tuo miglior alleato.
Ecco che, secondo loro, la risposta al ricatto si basa sull’abbandono del green deal e delle normative europee, definiti come “dazi interni”, vero freno della nostra economia. Se questo non è “baciare il culo” a Tramp (scusate se cito di nuovo le parole del tycoon) allora davvero le parole hanno perso il loro senso.
Mi resta il dubbio, però, che Trump non abbia ben calcolato le conseguenze della sua politica. Andrà tutto come lui si aspetta? O gli sfuggirà qualcosa di mano, innescando una crisi più grave e meno controllabile di quanto non pensi? Per come si muove, mi ricorda l’apprendista stregone della ben nota favola. Solo che in questa nostra realtà l’apprendista stregone ha non pochi seguaci e servi sciocchi, e non c’è lo stregone vero, quello che alla fine mette le cose a posto e dà una bella strigliata all’apprendista.
Cesare Pirozzi.