“Non ci resta che piangere”: Un’analisi grammatical-tragicomica dei dazi alla Trump
Ah, “Non ci resta che piangere”! Quel capolavoro cinematografico del lontanissimo 1984 (quasi un’era geologica fa!), con i suoi eroi improbabili, il bidello Mario (un certo Massimo Troisi, nientepopodimeno!) e il maestro Saverio (l’ineffabile Roberto Benigni!). E chi non ricorda quella scena epocale, quel confine degno dei migliori drammi shakespeariani, dove i nostri due si trovano di fronte a un temibile gabelliere? “Chi siete? cosa portate? Ma quanti siete? Un fiorino!”. Una battuta che ha fatto storia, signore e signori!
Ed ecco che, udite udite, il Presidente degli Stati Uniti d’America, Trump (un nome che suona quasi come un tuono), sembra incarnare perfettamente quel doganiere d’altri tempi. Giorno dopo giorno, come un mantra ossessivo (e forse un po’ stonato), continua ripeterci: “Chi siete? cosa portate? Ma quanti siete? Un fiorino!”. Solo che, ohimè, la realtà non e un film con gag esilaranti e finali tutto sommato lieti. No, no, no!
La parola “dazio”, pensate un po’, affonda le sue radici nel nobile latino “datium”, che significava “ciò che è dato” o “donazione” (un gesto quasi commovente, se non fosse per il seguito!). Deriva dal verbo “dare”, nel senso di offrire. Ma nel Medioevo, epoca di oscurantismo e balzelli, “datium” assume un significato ben diverso: un tributo, un’imposta da sborsare a un’autorità o allo Stato. E col tempo, il significato si è ristretto all’imposta sui beni commerciali, quel “dazio doganale” che trasforma un “dato” in un “versamento obbligatorio” nelle sacre casse statali. Che progresso!
Ma a cosa serve, di grazia, questo obolo da versare alla dogana per far entrare (o uscire, che dramma!) le merci da un Paese? Servirebbe a proteggere l’economia interna, rendendo i prodotti stranieri più cari di quelli nazionali. Un’automobile importata a 20.000 euro, con un dazio del 20%, magicamente lievita a 24.000! E quei 4.000 euro di differenza vanno dritti nelle casse dello Stato. Un meccanismo semplice e lineare, non c’è che dire. Ah, e pare che serva anche alle nazioni più “forti” (eufemismo?) per controllare il vasto e insidioso commercio internazionale. Che nobile intento!
Poi è arrivata la “guerra commerciale” di Trump, un balletto confuso fatto di un passo avanti e due indietro, un’opera fatta di annunci roboanti che poi svaniscono nel nulla. Risultato? Il commercio internazionale ha iniziato a tossire, le merci si guardano in cagnesco, indecise se attraversare o meno i confini. L’Organizzazione Mondiale del Commercio (un’entità che, a quanto pare, non fa solo statistiche noiose) ha lanciato l’allarme: le tensioni tra Stati Uniti e Cina potrebbero ridurre fino all’80% il commercio bilaterale! Un cataclisma economico con un impatto sul PIL globale reale del – 6,8%. Uno scenario che fa venire i brividi, altro che film horror!
E noi, povera Italia? Potremmo assistere a una perdita del 2,8% nelle esportazioni e del 3,3% nelle importazioni. E non finisce qui! Dobbiamo anche considerare una riduzione del benessere dei cittadini (con un indice di poco superiore al 5%, inezia!) e un impatto negativo sull’occupazione. Insomma, una vera gioia per il nostro Bel Paese!
Negli Stati Uniti, paradossi dell’economia, i dazi potrebbero favorire alcuni settori (forse quelli che producono cappelli con la scritta “Make America Great Again”?), ma ne penalizzano molti altri. E alla fine della fiera (o meglio, della guerra commerciale), il saldo sarà inevitabilmente negativo per l’economia statunitense. Che lungimiranza!
Allora, riecheggia la domanda del “gabelliere” Trump: “Chi siete? cosa portate? Ma quanti siete? Un fiorino!”. E a noi, in questo triste teatrino dell’economia globale? Parafrasando il titolo di quel vecchio film… non ci resta che piangere. Sigh!
Eligio Scatolini