Perchè loro e non io?
La speranza libera. L’ipocrisia imprigiona. Come si possa essere ‘liberi’ dietro le sbarre di un carcere e ‘prigionieri’ per le strade del mondo, lo ha ricordato a tutti Papa Francesco, nel corso della messa per il Giubileo dei Carcerati, domenica 6 novembre.
E lo ha ricordato, come al solito, a modo suo: sereno, luminoso, gentile, inarrivabile. “Io vi dico, ogni volta che entro in un carcere mi domando: perché loro e non io?” Sono davvero le parole del vicario di Cristo. Signore degli ultimi, degli oppressi, dei vinti: l’uomo nuovo della speranza infinita.
Quanta grazia in quel ‘loro’, che rinuncia al ‘voi’ per non porre una distanza incolmabile tra sé e i carcerati presenti in basilica. Laddove il ‘perché loro?’, invece, ci consegna il momento esatto in cui l’intimo ‘pensare a loro’ si impone alla coscienza del Papa.
Un pensiero che, nel silenzio, diventa visione e proposizione di una assoluta ‘identità’ dell’essere umano nel mistero insolubile che avvolge ogni esistenza. Che diventa coscienza di un desiderio tensivo di reciprocità tra un ‘fuori’ e un ‘dentro’ che – smesso qualsiasi valore spaziale – giungono a designare un tratto esistenziale, capace di illuminare ogni ipocrisia di nuova consapevolezza.
Dentro e fuori, ipocrisia e speranza diventano, nell’omelia di Francesco, due movimenti di un’unica profonda corrente vitale. “Il respiro della speranza” lo ha chiamato il Papa, con parole ispirate. Sperare è riprendere fiato, tornare a respirare è riprendere vita. Togliere la speranza a chi è prigioniero equivale, allora, a togliergli la vita. In modo, per altro, ipocrita: dissimulato e surrettizio, condannandolo ad una agonizzante asfissia di senso.
La vera prigione è il cuore dell’uomo. La brama di potere, la rincorsa di beni materiali ci imprigionano e ci riducono spesso in catene. “In realtà – ci ha ricordato Francesco – non si fa altro che stare tra le strette pareti della cella dell’individualismo e dell’autosufficienza, privati della verità che genera la libertà.” Coltivando, invece, il respiro della speranza – anche in una cella – si possono trovare il coraggio e la forza di vivere, nell’aspirazione ad un ‘nuova’ e più radicale libertà
La libertà dell’uomo è irriducibile perché la sua natura è quella della meraviglia con cui è fatta la meraviglia del mondo. C’è una Legge meravigliosa – l’Amore – che intesse di sé la rosa e la spina, l’ala e la catena, il freddo e la calura, la sosta e il cammino, il nostro grano e la nostra mietitura.
“La speranza – ha continuato il Papa – non può essere tolta a nessuno, perché è la forza per andare avanti; è la tensione verso il futuro per trasformare la vita”. Senza speranza non c’è libertà, né dignità. Dignità del cambiamento e della trasformazione: la dignità che viene all’uomo dalla partecipazione al flusso della Storia.
A luglio, i detenuti nelle carceri italiane erano 53.873. Di questi, solo 35.109 con una condanna definitiva. Tra i restanti in attesa di giudizio, ce ne erano 8.978 su cui – addirittura – non si era ancora pronunciato alcun giudice.
Al cospetto di queste 8.978 vite imprigionate – sulla scorta dell’esempio di Papa Francesco – siamo così liberi da porci la stessa domanda: “perché loro e non io’”?
di Luca De Risi