Lacio drom: classi speciali per bambini rom e sinti

“Era proprio la scuola il covo del razzismo e del pregiudizio, creava forti shock psicologici in noi bambini sinti non solo perché ricevevamo un’educazione diversa dalla nostra famiglia, ma anche perché a scuola si diventava diversi. A scuola, purtroppo, non eri più un sinto ma diventavi uno zingaro dal quale era meglio stare alla larga”. Sono le parole scritte da Eva Rizzin, ricercatrice di origine sinti, rilasciate in una intervista da sua madre, Susy Reinhardt, cresciuta negli anni settanta in una classe speciale per “zingari e nomadi”.

Dei rom e sinti si parla solo in termini negativi, per denunciare i disagi che causano, per sottolineare che sono sporchi, per allontanarli dalle nostre case, per non accoglierli, per mandargli le ruspe, per escluderli dalla vita sociale, per tenerli segregati nei campi, per non concedergli una possibilità. Insomma si parla dei rom e sinti solo per essere razzisti. Per mostrare il vero volto “disumano” che ci appartiene. Non sentiamo mai nessuno, escluso rarissimi casi, che abbia una parola di comprensione per i rom o sinti. Una mia amica, Nicol, da sempre, mi racconta storie e mi parla dei rom e sinti in modo piacevole, senza tralasciare i fatti negativi, ma sempre con il massimo rispetto della dignità dei rom e sinti. Ma per il resto, non ci sono parole, non dico di difesa, ma neanche di comprensione per un popolo che vive ai margini delle periferie più disagiate delle grandi città.

Nessuno ricorda le classi speciali per i bambini rom e sinti, eppure sono parte della nostra storia più recente. E qualcuno ancora le invoca, perché non vuole che i loro figli stiano vicini ai bambini rom e sinti. Solo qualche anno fa, la prima superiore di un istituto comprensivo di Pescara fu “riservata” solo ai rom e sinti. Erano i figli delle famiglie abruzzesi presenti in quella zona da secoli. La dirigente scolastica chiamata in causa per motivare la costruzione di una classe su base etnica, disse che era l’inizio di un “processo didattico innovativo”. Ma si può considerare la creazione di una classe differenziale come progetto innovativo, oppure la storia della scuola italiana ha già mostrato quali sono i risultati di concepire come speciale l’educazione dei rom e sinti?

In Italia le classi differenziali furono abolite nel 1977 con una riforma epocale che fece della scuola italiana un’avanguardia nelle politiche dell’inclusione, scrive Christian Raimo su Internazionale, ma non tutte furono eliminate: per altri cinque anni, fino al 1982, rimasero attive le cosiddette classi “Lacio drom” (buon cammino, in lingua romani). Queste classi speciali erano state istituite nel 1965 per quelli che allora venivano definiti genericamente “zingari”, con una convenzione che fu poi aggiornata nel 1974 prevedendo l’inserimento nelle classi comuni ma senza abolire le classi speciali, che avrebbero dovuto mantenere una funzione di recupero per gli alunni nomadi con frequenza irregolare. Con questa funzione di recupero, le classi Lacio drom, sopravvissero anche agli anni ottanta. Nel 1986 una nuova convenzione con l’Opera Nomadi, stabilì che tutti i bambini rom e sinti, “zingari e nomadi” fossero inseriti nelle classi ordinarie; ma bisognò aspettare il 1986 per il loro definitivo svuotamento. Ma i danni e i limiti che le classi Lacio drome hanno prodotto negli anni, sono ancora visibili, anche se nessuno ne parla e si è perso memoria. La scuola non se ne è mai occupata in termini di ricerca, anzi c’è stato un silenzio di consapevole rimozione per non affrontare il problema in termini pedagogici e sociali. A Bolzano, don Nicolini, nel 1965 fondo l’Opera Nomadi con l’intento di trovare una via di scolarizzazione per i bambini rom e sinti, ma la situazione sociale era difficile nell’Italia del dopoguerra. Ma con molta dedizione riuscì a far nascere anche la rivista Lacio drom, affiancato dalla pedagogista Mirella Karpati, che la diresse fino al 1999. Fu per almeno venti anni l’unica pubblicazione di carattere scientifico dedicata esclusivamente alla questione rom e sinti. La Karpati iniziò a scrivere della “pedagogia zingara” per affrontare in termini scolastici l’inserimento dei bambini nella scuola italiana. Non fu facile ed i limiti c’erano tutti, ma è stato il primo vero tentativo di affrontare la questione rom e sinti per aprirla alla scuola. Ma con gli ultimi studi, emergono le contraddizioni della rivista Lacio drom e della sua pedagogia, anche se nel 1965 era l’unica forma di discussione possibile tra il mondo rom e sinti e la scuola.

Negli ultimi decenni, la situazione è cambiata, ma non in modo profondo da eliminare le discriminazioni, basta pensare agli scuolabus solo per i rom e sinti, al fatto che sono sempre in ritardo perché i campi sono alle estreme periferie e raggiungere le scuole e difficoltoso. Insomma la logistica non aiuta i bambini rom e sinti ad essere studenti modello. Una segregazione di fatto. Dal 1993 a Roma si sono spesi milioni di euro per la scolarizzazione dei rom e sinti, con risultati drammatici, dice Carlo Stasolla della associazione 21 luglio, che a curato la ricerca “Ultimo banco”. Nella ricerca emerge un dato drammatico, tra il 2009 e il 2015 nella capitale solo un minore su cinque non si è mai presentato in classe; sui 1800 iscritti solo 198 hanno frequentato almeno tre quarti dell’orario, nove minori su dieci non frequentano con regolarità, un minore su due è in ritardo e non frequenta la classe conforme alla sua età. I ragazzi rom e sinti che frequentano le superiori si contano sulle dita di una mano. Una situazione di fatto di esclusione. La scuola dell’inclusione è ancora lontana da venire per i bambini rom e sinti. A Roma solo il 4 per cento delle ragazze che vivono nei campi riesce a raggiungere la terza media.

In questo contesto, il paradigma delle classi Lacio drom, della pedagogia zingara, della scolarizzazione di rom e sinti è una lunga storia di “segregazione razziale” di una sedicente inclusione che finisce ancora di più per legittimare l’esclusione e il ghetto. Forse ora, con l’enciclica “Fratelli tutti” Papa Francesco ha dato una opportunità in più ai cattolici praticanti, che prima escludevano, di sentirsi fratelli dei bambini rom e sinti, aiutandoli a frequentare la scuola nelle classi normali sedendo vicino ai loro figli che sono loro fratelli.

di Claudio Caldarelli