Raffaele Pastore: eroe dimenticato
Parlare, o tacere? Vivere, o morire? Perché una scelta, a volte, determina inevitabilmente l’altra. Ma cosa rende una persona qualsiasi un Eroe? L’essenza delle proprie azioni, o la risonanza che queste hanno? Se digitiamo il nome di Raffaele Pastore all’interno di un motore di ricerca, molti sono i risultati: Raffaele Pastore politico, Raffaele Pastore medico, Raffaele Pastore artigiano. Ma ben pochi quelli su quel Raffaele Pastore che pagò con la propria vita una scelta di coraggio. Aveva trentacinque anni in quel lontano 23 novembre 1996; aveva una moglie, Beatrice, e due figli, di sette e due anni; aveva un’attività commerciale – un negozio di mangimi per animali – e un’intera vita davanti. Ma Raffaele aveva fatto una scelta; aveva scelto di non vivere nel ricatto, di ribellasi alla prepotenza delle logiche camorristiche, di rifiutare una tranquillità il cui prezzo aveva un nome ben preciso: Racket. Due anni prima, dopo numerose minacce cadute nel vuoto, un ultimatum: “Se vuoi stare tranquillo devi darci cinquanta milioni”. Torre Annunziata, all’epoca, era il regno incontrastato del boss Valentino Gionta, già accusato di essere mandante undici anni prima dell’omicidio del giornalista Giancarlo Siani. Parlare, o tacere? Vivere, o morire? Raffaele aveva scelto di parlare; aveva denunciato i suoi ricattatori, causando l’arresto di Filippo Galli, stretto collaboratore del boss. Da quel momento Raffaele aveva avuto paura; dopo la denuncia aveva chiesto ed ottenuto il porto d’armi per difesa personale, nonostante ciò non portava mai con sé la pistola. Neanche in quel tardo pomeriggio del 23 novembre, quando intorno alle 18:30 due uomini con il volto coperto da un passamontagna fecero irruzione all’interno del suo negozio. Con lui, in quel momento, soltanto la mamma, Antonietta Auricchio. Forse se lo aspettava, Raffaele; forse in quei due lunghi anni aveva ricevuto ulteriori minacce mai denunciate, o forse sperava che il tempo trascorso lo avesse messo al sicuro da ritorsioni e vendette. Tutto quello che sappiamo ci arriva per bocca della stessa Antonietta, ferita gravemente ma sopravvissuta: due sicari col volto coperto entrano e fanno fuoco in silenzio; sparano dieci colpi (tanti i bossoli ritrovati poi dalla polizia), e se ne vanno. Inutile l’intervento di un passante, che carica entrambi i feriti sulla propria automobile; Raffaele muore poco dopo l’arrivo all’ospedale di Castellammare di Stabia. Il senso di questo delitto è, forse, un monito alla città: “Ecco cosa succede a chi si ribella”. Ma il coraggio di Raffaele è una goccia nel mare, apparentemente invisibile nell’enorme vastità, ma in grado di scavare una roccia. Raffaele Pastore, Luigi Staiano (altro imprenditore ucciso a Torre Annunziata nel 1986 per essersi ribellato al racket), e tanti altri come loro, eroi dimenticati che con il loro coraggio hanno contribuito, a scapito della loro stessa vita, ad innescare un processo, tanto lento quanto irreversibile, di sgretolamento delle basi delle logiche estorsive criminali.
di Leandra Gallinella