Il reddito di Ahmed Khan: migranti e burocrazia

L’uomo che mi si avvicina è di origini pakistane. Ha in mano una busta della spesa leggera. Non credo di conoscerlo, non ricordo di avergli mai parlato, ma punta dritto verso di me. Mi mette sotto gli occhi un foglio stampato e mi dice: “Ahmed Khan reddito”. Non un saluto, non una domanda. Pesca dalla busta altri fogli, uno dietro l’altro, vuole che guardi i suoi documenti: “Ahmed Khan reddito” è l’unica frase che ripete. Non ha fretta: calmo e determinato, mi squaderna tutto il suo archivio di carte diligentemente conservate: lettere al e dal Ministero dell’Interno per la concessione della cittadinanza italiana, documenti su carta intestata dell’amministrazione comunale, vecchi avvisi di riunioni scolastiche, documenti dell’Inps. Non vedo prescrizioni mediche, niente che riguardi ambulatori, ospedali, farmacie: l’archivio sanitario l’avrà lasciato a casa, dentro un’altra busta della spesa.
Non tutti i documenti sono suoi, su qualcuno leggo il nome di una donna. “Mia figlia”, mi dice scuotendo la testa. Ahmed non sa leggere, perciò deve aver messo da parte anche pezzi di carta che non sono suoi: per non sbagliare non butta via niente, conserva tutto a prescindere. E adesso che cerca il suo reddito, ” l’Ahmed Khan reddito”, deve essere per forza da qualche parte in mezzo a quelle carte. C’è, basta cercare. E’ questa l’unica forza, la sola certezza di Ahmed.
Mi fa vedere la busta paga, poi uno specchio riassuntivo dell’Inps; leggo la sua data di nascita e finalmente capisco: ha 67 anni, ha lavorato fino all’anno scorso. “Il reddito ti serve per la domanda di pensione?” Sorride e finalmente parla, col suo italiano che stenta. In qualche modo mi spiega che suo figlio è il capitano della squadra di cricket del paese e… sì, suo figlio io lo conosco. Gli sportivi della mia famiglia forniscono palline da tennis per gli allenamenti della squadra di cricket pakistana.
Anch’io, come Ahmed Khan, non butto via niente. Ci guida la legge della conservazione della massa, per cui nulla si crea e nulla si distrugge, tutto si trasforma, magari in qualcosa di utile e l’ultimo foglio dimenticato ieri nel cassetto può rivelarsi indispensabile domani. Guardo la sua busta paga e penso alla mia, a quella stampa che ogni mese dice tante cose che nemmeno a me sono chiare; penso alla rassegnazione con la quale ogni volta firmo quel pezzo di carta di codici e numeri, alla speranza che sia un foglio onesto e fatto bene; penso allo sconforto che mi prende quando mi viene in mente che un giorno dovrò anche io affrontare l’iter della pensione, gli infiniti bizantinismi del nostro sistema burocratico; penso alle difficoltà di chi, come Ahmed Khan, non scrive, non legge e non parla italiano. Penso a quanto sia costato a lui, uomo pakistano, fermare una donna italiana per strada, e chiederle aiuto.
Chiamo un’amica commercialista e lo indirizzo da lei. Ahmed mi offre un altro sorriso e un caffè. Grazie del sorriso, per il caffè è tardi, sarà per un’altra volta. Perché siamo destinati a incontrarci di nuovo ai tavolini del bar di questo Paese dove i termini della burocrazia non sono alla portata nemmeno dei nativi (figuriamoci degli immigrati), dove la complessità del sistema favorisce gli affari dei furbi e fa affogare le persone per bene, questo Paese dove la deriva burocratica sembra non avere rimedi, questo Paese che tanto somiglia all’Isola di Atrocla, che Moszkowski, nel suo libro “Isole di saggezza”,
ha raccontato così:
“Ad Atrocla hanno sviluppato l’arte di complicare le cose, al punto che neppure un genio potrebbe sbrogliarle. Ogni aspetto anche minuto della vita quotidiana di Atrocla è regolato da una pletora di leggi, codici e regolamenti di una tale complicazione e contraddittorietà che è impossibile per un abitante dell’isola non infrangerne almeno una. Le leggi e le leggine promulgate sull’isola sono conservate in ben 350 mila volumi, che compongono la Biblioteca Nazionale. I bibliotecari li tengono rigorosamente sotto chiave: nessuno può conoscere le leggi che pure dovrebbe rispettare. I bibliotecari si distinguono in due categorie: quelli che non danno informazioni e quelli che le danno sbagliate.

di Daniela Baroncini

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