Continuare a nasconderli è una strategia da struzzi

C’è un popolo dolente che vive intorno a noi e si affanna, per non morire, negli angoli delle nostre città.

Uomini e donne che i casi della vita hanno spinto ai margini. Buste, cartoni, coperte sono i loro segni distintivi e i loro soli oggetti. Con quelli, e grazie all’aiuto di poche persone di buona volontà, riescono, più o meno, a sopravvivere.

Ma con il grande freddo in agguato, un piatto caldo e una coperta in più non saranno sufficienti a salvarli.

I senzatetto, i clochard, i barboni, o come volete chiamarli, stanno per uscire dalla spirale di silenzio che li avvolge.

Delle loro vite ignorate per 12 mesi l’anno i nostri media e i nostri politici torneranno a interessarsi solo quando le perderanno, e succede ogni anno, falciate dal freddo, che le loro povere cose non riescono a fermare.

Tornano a far notizia solo quando un’ondata di gelo ne spazza via a decine o quando un’ordinanza comunale particolarmente odiosa arriva a negargli, in nome del decoro, quel poco di carità che possono ricevere.

Ma non è solo la stampa e la politica a guardare altrove. Quasi tutti noi distogliamo lo sguardo. Una paura inconscia ci spinge altrove. Come fosse una sorta di esorcismo erigiamo una barriera, visiva, olfattiva, sentimentale, tra noi e loro perché nulla di simile ci accada.

Non potendo ignorare l’ondata di morti creiamo, con ipocrisia, uno scenario che relega in un fatto emergenziale, la prevedibilissima ondata di freddo, la condizione di povertà che nel 95% dei casi è la ragione di queste vite ferite.

Per qualche giorno si lasciano aperte le stazioni, l’emergenza passa ed è di nuovo silenzio sulle cause strutturali che, invece, restano tutte.

Quasi il 50% dei senza tetto è stato costretto a rinunciare ad una casa a seguito della perdita del lavoro e del disgregamento familiare. Il 30% è finito sui marciapiedi a causa di una dipendenza da alcol o droghe. Altri perché vittime di investimenti sbagliati, di truffe o vittime dell’usura. Circa il 6% dei senza tetto è composto da malati mentali e solo il 3% lo è diventato a seguito di una scelta di vita. Molti di loro sono malati. Soprattutto soffrono di bronchiti, polmoniti, epatiti e salmonella e in tanti muoiono ogni giorno nell’indifferenza.

Niente di poetico e avventuroso quindi. Quelle di chi vive in strada sono storie di emarginazione, solitudine e miseria. Uomini e donne spinti dalla loro condizione ad isolarsi da tutto e tutti, tanto sono ormai spaventati dell’estraneo.

Continuare a nasconderli è una strategia da struzzi.

di Enrico Ceci

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