Ius soli, anatomia di una paura mediatica
La legislatura è al termine e lo Ius soli è stato ufficialmente affossato. È un nome che crea confusione e che porta a credere che basti nascere in Italia per poter ottenere la cittadinanza. Il termine Ius culturae avrebbe reso più giustizia. La legge, mai approvata, avrebbe riguardato circa 800mila persone nate in Italia o che in Italia hanno studiato e sono cresciute.
Nella testa delle persone l’argomento è finito ad essere assimilato a quello dell’immigrazione, sebbene i due temi siano completamente distinti visto che in quest’ultimo caso si parla di persone già in Italia. Uno dei prerequisiti, infatti, è l’avere almeno uno dei due genitori con permesso di soggiorno e residente in Italia da un minimo di 5 anni. L’immigrazione è spesso usata come capro espiatorio dalla politica, per giustificare problemi nient’affatto legati agli immigrati. La politica lo ha inglobato nel suo discorso, tant’è che negli scorsi anni le notizie ansiogene a riguardo hanno raggiunto i picchi quantitativi in corrispondenza dei periodi di campagna elettorale.
Le posizioni politiche sul tema si sono spostate a destra. Il motivo, come confermano diversi studi, è che l’immigrazione tende ad essere considerata dalle persone come causa di salari bassi e, in generale, del crescente disagio economico dovute alle politiche di austerity. Quindi, i partiti di destra hanno la possibilità di spostare consensi attraverso l’immigrazione e guadagnare voti anche di persone legate alla sinistra.
A dare un impulso al processo ci pensano i media. In base al rapporto annuale dell’Associazione Carta di Roma, negli ultimi mesi 4 notizie su 10 riguardanti l’immigrazione, hanno un contenuto ansiogeno. Solo il 5% ha una componente rassicurante. Prevale la cronaca nera e ci si sofferma su stupri e aggressioni. Il linguaggio più comune, a prescindere da quale sia il punto di vista, è quello emergenziale. A fronte di ciò aumenta la paura degli italiani nei confronti dei migranti e degli stranieri (43%, dieci punti in più rispetto a due anni fa).
Secondo lo stesso rapporto, la dimensione economica e del lavoro della tematica immigrazione è il fanalino di coda tra i temi affrontati dai media. Questo aspetto è particolarmente simbolico in un paese come l’Italia dove la popolazione diminuisce e diventa sempre più vecchia, come conferma l’annuario Istat 2017. L’Inps ha già messo in guardia circa il contributo fondamentale degli immigrati al sistema pensionistico italiano.
Il fenomeno, per quanto vasto, non è da considerarsi un emergenza. Le migrazioni non possono essere fermate e il mondo si sposta più che in passato. Eppure, nonostante l’alto numero di rifugiati nel mondo, secondo l’Unhcr, l’84% rimane nei paesi in via di sviluppo. In Europa sono presenti 2 milioni di rifugiati, un numero irrilevante se paragonato ai 3,4 milioni in Turchia e l’1,5 milioni nel piccolo Libano. Ma oggi come ieri, la realtà dei fatti può non bastare.
di Pierfrancesco Zinilli