Un decreto talebano

Il decreto sull’obbligatorietà dei vaccini, anche se preceduto da una eclatante battage pubblicitario, mi ha profondamente scosso. La risposta alle molte perplessità nei confronti delle vaccinazioni – per meglio dire: nei confronti di un certo tipo di piano vaccinale – corrisponde a quel che un detto romano definisce assai bene: togliere la sete col prosciutto. Sembra più una ritorsione che non un provvedimento equilibrato. Se una percentuale significativa degli italiani (il 20%, secondo una recente statistica) nutre dubbi sulla sicurezza della precedente politica vaccinale, la risposta è raggelante: i vostri dubbi non contano, e per dimostrarlo raddoppiamo il numero di vaccini obbligatori e, se non vi piace, vi puniamo con sanzioni esemplari.
Il metodo è preoccupante: i cittadini che non credono alla verità rappresentata dal Ministero della Salute saranno sanzionati; i medici che non credono ciecamente alla verità stabilita per decreto siano espulsi dall’Ordine professionale o, comunque, minacciati di sanzioni. È una posizione un po’ talebana, che ci riporta ai secoli bui dell’inquisizione, pur con la differenza che le sanzioni non sono altrettanto drastiche e feroci. Ma il principio è simile: non si può discutere il dogma. Chi ne dubita è fuori, non ha voce, non può essere ascoltato. E il dogma è che i vaccini sono innocui: vietato metterlo in dubbio. Dal punto di vista politico è una situazione senza precedenti. Si rilancia la posta, raddoppiando, come se fosse una partita a poker, non un tema delicato, riguardante un bene tutelato dalla costituzione. Sulla base che qualcuno ha la verità e tutti gli altri non contano. E se hai sete di approfondimento, di dialogo, di documentazione, di sicurezza, ti rispondo col prosciutto del dogmatismo applicato alla medicina e alla politica: che nulla ha a che vedere né con la scienza né con la democrazia.
Ma quali sono questi dubbi, quali sono gli elementi scientifici, se ce ne sono, che giustificano una maggiore prudenza?
Io, personalmente, non ho dubbi che i vaccini siano molto utili, in linea di principio: cioè se usati con saggezza. Ma ho seri dubbi che il trend attuale sia saggio davvero, e vi spiego perché.

Primo.
Quando si inietta un vaccino, l’organismo non sa che quel virus, quel batterio o quella proteina sono stati inattivati, cioè privati della loro capacità di nuocere. La reazione dell’organismo è la stessa sia per un virus attivo, sia per uno inattivo: il nostro corpo non li distingue e scatena la stessa complessa reazione di difesa, mediata dalle stesse sostanze chimiche e dalle stesse cellule immunocompetenti coinvolte nella malattia. Per questo sono frequenti febbre, vomito ed altri sintomi. Il vaccino ha causato uno stato transitorio di malattia, inevitabile per ottenere il risultato atteso, cioè la produzione di anticorpi, che ci consentiranno di difenderci, se e quando verremo in contatto con gli stessi virus, batteri o tossine non più inattivati. Perciò un vaccino è diverso da un farmaco.
Il più delle volte, la malattia da vaccino è lieve e transitoria. Mi preoccupano, però, due cose: che tutto ciò avvenga nei primi mesi di vita, quando il sistema immunitario non è ancora del tutto maturo; e che avvenga, contemporaneamente, per più virus, batteri e proteine. Non è per niente naturale che un organismo immaturo sia aggredito da molteplici antigeni, come non avviene neanche in caso di malattia infettiva (dove c’è un solo tipo di virus o batterio): ed è una condizione di stress eccessiva e ingiustificata, anche se finalizzata ad ottenere l’immunizzazione.

Secondo.
Per poter usare un nuovo farmaco, è previsto un iter complesso, il cui passo finale è la sperimentazione clinica randomizzata in “doppio cieco”: si dà ad un gruppo il farmaco e ad un altro una sostanza inerte, senza che nessuno sappia (in partenza) chi ha ricevuto l’una o l’altra cosa. Si confrontano, alla fine, i risultati: ciò consente di sapere, con relativa certezza, quali siano i benefici e quali gli effetti collaterali. Questa regola non vale per i vaccini, per i quali non si richiedono studi di questo tipo. Di fronte alla comparsa di disturbi più o meno gravi nei vaccinati, non si hanno prove che consentano di stabilire se questi siano o no in rapporto con il vaccino. Ad esempio, di fronte al dato effettivo ed inconfutabile dell’aumento esponenziale dei casi di autismo, non esistono prove riconosciute a favore o contro il ruolo delle vaccinazioni multiple nel determinismo di tale aumento. Ecco perché non si può “scientificamente” sostenere che il rapporto ci sia, anche se il fatto (cioè l’aumento esponenziale dell’autismo) è incontrovertibile. Ecco perché una rassegna scientifica sugli effetti delle vaccinazioni1 riporta, oltre a 211 eventi classificati come gravi, 5 morti “senza un chiaro rapporto causale con la vaccinazione”. Uguale incertezza viene invocata per i casi di encefalite post-vaccinale, segnalati nella letteratura medica: ma non si può negare che i casi esistano, e che siano stati indennizzati (e quindi riconosciuti come possibile conseguenza dei vaccini) da parte dello Stato. Anzi, questo è un bel caso di schizofrenia: lo Stato italiano ha risarcito, del tutto recentemente, una famiglia per un caso di encefalite post-vaccinica (ne hanno parlato le cronache dei giornali), ma il Ministero della Salute, nel suo sito, non avverte del rischio di tale complicanza, che proprio lo Stato ha riconosciuto con il risarcimento (anche se a seguito di un’azione legale).

Terzo.
Esistono evidenze scientifiche a sostegno delle preoccupazioni verso le vaccinazioni multiple nell’infanzia? Piuttosto che discutere le diverse opinioni, preferisco citare uno studio del 20112, che parte dall’osservazione che negli Stati Uniti (dove la “schedula” vaccinale prevedeva 26 dosi nel primo anno di vita) la mortalità infantile è più alta rispetto ad altri 33 Paesi, nei quali si somministrava un minor numero di dosi. Gli autori hanno trovato una correlazione statisticamente significativa tra mortalità infantile e numero di dosi somministrate nel primo anno di vita: a un più alto numero di dosi vaccinali corrisponde una mortalità infantile più elevata. Davvero tranquillizzante, vista l’impennata delle vaccinazioni obbligatorie in Italia.
D’altronde, non si tratta di un concetto nuovo. Il timore che il bombardamento con molteplici antigeni su di un organismo ancora immaturo sia dannoso non è peregrino: per diverse malattie è ormai provato che sono causate da un movimento autoimmune (cioè diretto contro alcuni tessuti del proprio organismo) da parte di anticorpi contro antigeni virali, in soggetti predisposti. Mi spiego meglio: non è il virus a causare certe lesioni, ma la risposta immunitaria.

Si potrebbero portare altri argomenti ed altre pubblicazioni scientifiche a supporto della legittimità del dubbio e della necessità di una grande prudenza: stiamo, infatti, parlando della salute e della vita dei nostri figli, non del fatturato di una multinazionale farmaceutica. Ma credo che, comunque, non si possa proprio mettere in discussione la legittimità del dubbio; quanto ai medici, sempre tenuti alla regola aurea “primum non nocere” (prima di tutto, non nuocere), dubitare è un dovere. Senza il dubbio, non esiste approfondimento, non esiste ricerca scientifica; il dubbio è la molla del progresso, il presupposto della sicurezza: il dubbio è profondamente etico.

Resta però una domanda molto seria: che cosa di diverso si può fare per tutelare la popolazione dal rischio di pericolose epidemie? Perché il problema ha due corni: la sicurezza dei vaccini da un lato, il rischio delle malattie infettive dall’altro. E non ha una soluzione semplicistica (vacciniamo tutti per tutto/non vacciniamo nessuno).
Una risposta prudente ce la fornisce un gruppo di 14 medici di tutto il mondo, tra i maggiori esperti di malattie infettive e vaccini3, che sostengono la necessità di un rapporto di fiducia tra medico e paziente, l’abbandono di un atteggiamento paternalistico “top-down” nella comunicazione, la necessità di ascoltare la voce dei pazienti (o dei genitori) sui vaccini e sulla loro sicurezza, l’incoraggiamento delle ricerche basate anche sui report dei pazienti, la tendenza ad una medicina “personalizzata”. Tutto il contrario di quanto sta avvenendo in Italia, dove il governo annulla per decreto tali possibilità.
In pratica, secondo me, è necessario ridurre i vaccini al minimo indispensabile nel singolo bambino ed in ciascuna fascia di età, individuando le necessità più ragionevoli con la collaborazione attenta dei medici di famiglia o dei pediatri. Serve ancora la vaccinazione antipolio per tutti a trent’anni dalla scomparsa di questa malattia in Italia? A quale età compare il rischio di contrarre l’epatite B? Quando serve immunizzarsi verso il papilloma virus? Perchè usare per tutti e nel primo anno di vita lo stesso vaccino MPR?
Un buon equilibrio tra rischio e beneficio delle pratiche vaccinali può essere perseguito semplicemente ottimizzando, sfrondando e personalizzando il calendario vaccinale. Al contrario, il piano di vaccinazioni obbligatorie, precoci e generalizzate, voluto dal decreto, mi sembra inutilmente pericoloso, sulla scorta dei non pochi allarmi riscontrabili nella più accreditata letteratura scientifica. Oltre tutto, confligge con la necessità etica, oltre che pratica, di un sano rapporto medico-paziente, basato su scienza e coscienza, secondo una virtuosa e sempre valida deontologia professionale.
Ma non basta: servono indagini statistiche, cliniche e sperimentali approfondite e indipendenti. Serve una revisione della normativa per l’autorizzazione all’uso dei vaccini. Servono studi sulle possibili alternative. Soprattutto, non servono decreti “talebani”.

P.S.: riporto tre voci bibliografiche a sostegno delle mie affermazioni (non si sa mai!)

Cesare Pirozzi

1. Dey A, Wang H, Quinn HE, Hill R, Macartney KK.
Commun Dis Intell Q Rep. 2016 Sep 30;40(3):E377-E390.
Surveillance of adverse events following immunisation in Australia annual report, 2014.
2. Miller NZ, Goldman GS. Hum Exp Toxicol. 2011 Sep;30(9):1420-8. doi: 10.1177/0960327111407644. Epub 2011 May 4.
Infant mortality rates regressed against number of vaccine doses routinely given: is there a biochemical or synergistic toxicity?
3. Holt D, Bouder F, Elemuwa C, Gaedicke G, Khamesipour A, Kisler B, Kochhar S, Kutalek R, Maurer W, Obermeier P, Seeber L, Trusko B, Gould S, Rath B. Clin Microbiol Infect. 2016 Dec 1;22 Suppl 5:S146-S153. doi: 10.1016/j.cmi.2016.09.027. Epub 2016 Dec 6.
The importance of the patient voice in vaccination and vaccine safety-are we listening?

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