Il dialetto romanesco
Pensando al romanesco, viene in mente una parlata sguaiata, “caciarona” e a tratti volgare. Niente di più corretto. Lo stesso Giuseppe Gioacchino Belli, colui che scrisse i famosi sonetti in dialetto romanesco, declinò la richiesta del principe Gabrielli di scrivere i Vangeli in questo dialetto poiché “favella non di Roma, ma del rozzo e spropositato suo volgo”.
Persino Dante, passando in rassegna i diversi dialetti della penisola, definisce il romanesco un “turpiloquio” e i romani “grossolani”, gli unici che non davano mai del lei.
Come tutti i dialetti volgari (cioè popolari, che si distinguevano dalla lingua latina), il romanesco ha origine tra l’VIII e il IX secolo, quando una lingua diversa da quella latina andava affermandosi nel parlato comune. Tra le prime attestazioni abbiamo in inscrizione incisa nelle catacombe di Commodilla, risalente al IX secolo, che fa: “Non dicere illa secreta a bboce”, ovvero “non dire le parti segrete (della liturgia) ad alta voce”.
All’XI secolo risale l’iscrizione nella basilica di San Clemente, inserita in un affresco che narra una vicenda relativa alla vita del santo. Il romano Sisinnio incarica i suoi servi di catturare e trascinare da lui Clemente, che nel frattempo si era trasformato in una colonna pesante, difficile da trascinare. Sisinnio incita i suoi a tirare e lo fa in modo molto volgare: “Traite fili de le pute”, ovvero “tirate figli di…”.
Anche qui emerge il carattere grottesco e violento di questo dialetto.
Molti non sanno che fino al XIV secolo il romanesco era molto affine alle parlate meridionali. Nell’opera di un anonimo romano che narra le vicende di Cola di Rienzo, egli usa termini somiglianti alla parlata di Napoli, quali “criviello” (crivello) e “mignaniello” (mignanello, balcone).
A partire dal XV secolo, quando i mercanti fiorentini giungevano alle corti papali e soprattutto con i papi dei ‘De Medici Leone X e Clemente VII, il romanesco subisce gli influssi del toscano, a cui infatti oggi somiglia per alcune caratteristiche.
Nell’800 assurge a dignità letteraria, come già detto, grazie all’opera del Belli.
A partire dal ‘900 e fino ai giorni nostri, il romanesco subisce gli influssi dei dialetti delle popolazioni che qui si sono trasferite nella seconda metà del XX secolo: abbruzzese, marchigiano, umbro.
Oggi, grazie anche al cinema e alla televisione, la parlata romanesca è conosciuta in tutta Italia e molti termini di origine romanesca sono riconosciuti e inserito nei vocabolari della lingua italiana.
di Fabio Scatolini