Partiamo da noi

A fine luglio, nel villaggio di Tamra in Cisgiordania, un giovanissimo palestinese è stato accoltellato dal fratello perché sospettato di essere gay. Purtroppo, nei Territori, la violenza contro le persone Lgbt (lesbiche, gay, bisessuali, transgender) non è un fatto isolato.

Stavolta però – nonostante sui social sia stata la vittima, piuttosto che l’aggressore, ad essere oggetto di offese e accuse – per la prima volta alcune organizzazioni della società civile hanno alzato la voce contro le violenze subite dalle persone Lgbt e per denunciare la collusione della società e delle istituzioni con le discriminazioni.

La mobilitazione non è piaciuta al governo di Ramallah che, sebbene formalmente laico, ha ceduto alle pressioni dei movimenti islamici conservatori. Per Louai Irzeiqat, portavoce della polizia, le proteste sono dannose e  “contrarie agli ideali e ai valori della società palestinese”. Per contrastarle, le autorità hanno promosso indagini contro gli attivisti e i sostenitori di Al-Qaws – la più importante associazione palestinese a difesa dei diritti Lgbt – e invitato i cittadini alla delazione.

Al-Qaws ha condannato “le persecuzioni, le intimidazioni e le minacce di arresto” e invitato la polizia a “concentrarsi nella lotta contro l’occupazione e altre forme di violenza che stanno facendo a pezzi il fragile tessuto della nostra società e i nostri valori, invece di perseguitare attivisti che lavorano instancabilmente per mettere fine a ogni forma di violenza”.

Dura anche la presa di posizione di Ahmad Harb, presidente della Commissione indipendente per i diritti umani. Per Harb, “la dichiarazione della polizia palestinese riguardante il blocco delle attività di al-Qaws, le minacce di arresti, la richiesta ai cittadini di informare segretamente sui sospetti arriva ad invocare la violenza della comunità e l’incitamento al crimine” perché, continua Harb, “in molti possono interpretare queste affermazioni come un appello alla violenza”

Se ne avessimo avuto bisogno, quanto accade in Palestina sta lì a confermarci che né le esperienze personali né la storia sono in grado di insegnarci alcunché.

Partiamo da noi. Siamo stati per secoli un popolo di emigranti – e stiamo tornando ad esserlo – eppure abbiamo chiuso gli occhi e il cuore davanti ai disperati di oggi.

Pensiamo alla politica dello Stato di Israele. Pur essendo figlio della grande tragedia dell’Olocausto –  e nonostante il suo popolo sia da secoli vittima di discriminazione – costruisce muri e distingue le persone sulla base dell’appartenenza etnica.

E ora anche l’Autorità nazionale Palestinese, stentato embrione di uno stato mai nato, che mette al bando le persone omosessuali.

Come può una dirigenza accecata dal pregiudizio, che si accanisce contro una minoranza interna, che non comprende come la violenza contro le persone Lgbt non può essere separata dalla violenza contro le donne o da quella coloniale, unire il suo popolo e portarlo all’indipendenza?

di Enrico Ceci