Mobbing: quando tutto intorno a noi urla
Mobbing: tanta confusione e incertezze. E’ sempre stato assimilato alla “persecuzione”, il MOBBING, questo sconosciuto… E’ apparso in Italia circa venti anni fa e ancora ci sono ampi spazi di perplessità su questa materia.
L’ambito di appartenenza è medico o legale? Chi si “sente” mobbizzato deve rivolgersi ad un avvocato (civilista o penalista?), ad uno psicologo, ad uno psichiatra, ad un medico legale, ad un sindacato, ad un amico, ad un guru dello yoga o al parroco? Ebbene si il mobbizzato a volte pensa persino di essere indemoniato e che un esorcismo sia la soluzione dei suoi problemi.
Perché di SUOI problemi si parla, di SUE fantasie e il SUO carattere viene tacciato come inadeguato spesso dai colleghi o dai superiori. La scelta di come comportarsi e a chi affidarsi non è indicata nella giurisprudenza ma stanno aumentando il numero delle Associazioni e Strutture pubbliche (nelle ASL) che accolgono e affiancano l’ipotetico malato nel percorso che dovrà affrontare. Il mobbizzato ha sicuramente problemi in ambito lavorativo che si ripercuotono sulla salute propria e di suoi familiari.
Non è una vittima e potrebbe non essere l’unico, cioè non essere l’unica vittima nel suo ambiente lavorativo: l’azione persecutoria viene infatti riconosciuta come tale, seppur collettiva, purché sussista un danno per il lavoratore.
Quando infatti le condotte dei responsabili dell’azienda integrano atteggiamenti scorretti, pesanti, ansiogeni, ostili, discriminatori ed ingiuriosi protrattosi nel tempo, sussistono i requisiti iniziali per configurare un’azione di mobbing e se il lavoratore risulta leso da detti comportamenti, può richiedere il risarcimento del danno biologico e morale. Una recente Sentenza della Corte d’Appello di Milano (n.131 del 16/2/2009) offre diversi spunti di riflessione su come i principi teorici fin qui esposti possano essere nel concreto applicati dai Giudici. Questo è il caso di una lavoratrice che ha ottenuto giustizia dopo essersi rivolta allo “Sportello mobbing” della Camera del Lavoro di Milano, lamentando di aver subito per oltre un anno “attacchi” quotidiani e ingiustificati, con toni urlati, da parte dei propri responsabili di reparto. Perseverando questi atteggiamenti, la stessa ha iniziato ad assentarsi dal lavoro a causa di “depressione reattiva” ed infine è stata licenziata per motivo oggettivo.
Un film inoltre nel 2003 “Mi piace lavorare” di Francesca Comencini, ha rivisitato sul grande schermo le molestie psicologiche subite da una mamma sola, divenendo la prima espressione di vittoria contro quel fenomeno che oggi ha il nome di mobbing o in alcuni casi Bossing. Un film tragicamente reale e ancora attuale, forse oggi più di ieri, commovente e indelebile nei cuori di donne e uomini che hanno avuto il coraggio di vederlo e che della compassione e del senso di giustizia ne hanno fatto uno stile di vita. La domanda sorge quindi spontanea: è giusto denunciare il mobber o conviene perdonare e preservarsi il posto di lavoro evitando il licenziamento?Un grande insegnamento di devozione al coraggio e alla Giustizia ci è stato tramandato fin dal tempo in cui i Templari (frati e cavalieri) assunsero il ruolo di difensori dei deboli non escludendo l’uso delle armi ma mettendo a disposizione la loro stessa vita… -nnDnn- (non nobis Domine, non nobis… sed nomini tuo da gloriam).
di Tommasina Guadagnuolo