Calcio, salute mentale e carcere. La pazza idea di Crazy For Football

Quando Stefano Bono, maglia numero 8 sulle spalle, si avvicina al dischetto per tirare il calcio di rigore, ha negli occhi un misto di concentrazione e orgoglio. Siamo al ToLIVE Sports Center di Roma, tra la Cristoforo Colombo e Tor Marancia. In campo va di scena il triangolare amichevole “Il calcio per la salute mentale” insieme alle rappresentative delle aziende Medtronic Italia e Fabrick. “Vai Stefano, batti te” urla mister Enrico Zanchini dalla panchina. Urla e non ha mai smesso di farlo: “Facciamo sta cavolo di diagonale!”, “Questo non deve passare”, “Puntalo!”. 

I ragazzi della Crazy for Football, la Nazionale Italiana di calcio di pazienti psichiatrici, si trovano a meraviglia sul parquet del calcio a 5. In porta c’è Matteo Vitali, che para anche senza guanti. L’ultimo uomo lo fa Mattia Zappacosta. La fascia sinistra invece è di Silvio Tolu, il bomber è Saverio Delle Foglie. Poi ci sono tutti gli altri, pronti a entrare. Il gruppo storico, quello dei campioni del mondo, più i nuovi ragazzi scovati durante i raduni sparsi per l’Italia. “Abbiamo fatto due selezioni – ci racconta mister Zanchini prima del match – una Roma e una a Bari, abbiamo visto una cinquantina di ragazzi. L’obiettivo è quello di fare una nazionale sempre più forte”. 

Un progetto nato nel 2004 su intuizione del Professor Santo Rullo: far giocare i pazienti psichiatrici. Poi nel 2015 l’idea: organizzare un Campionato del Mondo di calcio a 5 per persone con disabilità mentale. Questa la storia narrata dal documentario “Crazy for Football”, di Francesco Trento e Volfango De Biasi, David di Donatello nel 2017, e poi dall’omonimo film, con Sergio Castellitto, Max Tortora, Antonia Truppo e Massimo Ghini. Infine, nel 2018, il Mondiale arriva in Italia. Calcio d’inizio il 13 maggio, per una data storica: il 40esimo anniversario della chiusura dei manicomi in Italia, con la Legge Basaglia. Quell’edizione la vinciamo noi.  “Questo progetto mi ha dato una quantità immensa di emozioni a livello tecnico e umano. Ma se dovessi scegliere il momento che porto nel cuore direi proprio la vittoria della Coppa del Mondo” racconta ancora Zanchini. 

Mentre il Mister parla, i suoi ragazzi iniziano il riscaldamento. Gli occhi brillano e guardano già al futuro. Ai prossimi raduni, ovviamente, ai Mondiali del 2022. Ma soprattutto alla partita del giorno dopo: “Andremo in carcere, per un incontro con i ragazzi del Reparto G8 di Rebibbia. È una partita dal valore enorme, per la situazione carceraria del nostro paese, per le gravi discriminazioni che le persone con problemi di salute mentale vivono all’interno delle carceri e per fare una partita con grande significato di inclusione, di lotta allo stigma, di lotta alle ingiustizie sociali”. 

“Il carcere che detiene noi e il pregiudizio sociale che esclude i tuoi ragazzi pur essendo persone libere. Dobbiamo far capire che il diverso è una risorsa e non un’aggravante” avevano scritto in una lettera rivolta al mister i detenuti del Reparto di Alta Sicurezza. “Si tratta di una partita dall’alto valore simbolico per noi – ci spiega il Dottor Santo Rullo – Il pregiudizio sul detenuto e sul malato mentale sono due modalità di esclusione sociale. Di solito il paziente psichiatrico è un escluso. Invece noi vogliamo sottolineare il fatto che lo sport è veicolo di incontro e di recupero. Il paziente psichiatrico recupera se stesso attraverso lo sport e la persona reclusa deve fare in modo che la pena stessa sia un recupero, una forma di reinserimento, non semplicemente una punizione”. 

Santo Rullo si interrompe solo un attimo, la nazionale ha preso un palo incredibile dopo un’azione corale. “Il calcio per questi ragazzi è l’intervento integrato perfetto. C’è una parte biologica, fisica, l’apparato locomotore sviluppa endorfine, dopamina, serotonina quindi è come un antidepressivo naturale. Fare gruppo vuol dire non isolarsi. Poi lo spazio piccolo del calcio a 5 costringono la persona a tentare costantemente di intuire le mosse dell’altro. Ecco, il calcio serve a questo: mettersi nei panni degli altri, di aprirsi. Il paziente psichiatrico, invece, dagli altri si sente perseguitato”.

L’intervista si blocca di nuovo. C’è il numero 8, Stefano Bono, sul dischetto. Occhiata agli spalti, pollice alto verso il mister. Breve rincorsa. Gol. Esplode il palazzetto, salta in piedi la panchina. Vincerà la Nazionale Crazy for Football, ma non è questo l’importante. In fondo aveva già vinto mentre cantava l’inno, con passione e con orgoglio. Aveva già vinto mentre i suoi ragazzi si infilavano le maglie azzurre. Aveva già vinto durante il riscaldamento. Aveva già vinto semplicemente scendendo il campo. Quando i calciatori si abbracciavano e si incoraggiavano come se stessero per giocare, di nuovo, la finale di Coppa del Mondo. E basta guardare quegli occhi e quegli abbracci lì per capire che no, non è mai “solo” calcio. 

di Lamberto Rinaldi

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