Il bilancio, Vanna Marchi e la Costituzione

È di moda cambiare nome alle cose, per non cambiare le cose. Così, la legge finanziaria è diventata, ad un certo punto, legge di stabilità e poi legge di bilancio. Per il resto è quella di sempre: qualche sanatoria, qualche condono, e un enorme debito.
Quello sì che è stabile. Il resto è instabile, come il nostro futuro, come il poco lavoro che si riesce a trovare (a proposito di nomi, grazie al jobs act).
Quest’anno, contro la “finanziaria” hanno mugugnato tutti.
Ha iniziato l’Ufficio Parlamentare di Bilancio, che se ne è dissociato.
Poi, ha mugugnato la BCE: con il linguaggio sfumato e sobrio che le è proprio, ha praticamente detto che è una bufala.
Si è unita al mugugno anche la Corte dei Conti, perché i conti non tornano.
Infine, ecco la lettera della Commissione europea a chiarire i termini ed i perché di tanto mugugno. Vediamoli.
Il punto principale è che l’anno scorso il nostro governo aveva sforato i limiti di deficit pattuiti, dicendo in sostanza: quest’anno dobbiamo fare così, perché se no non risolleviamo l’economia, schiacciata dai vincoli beceri imposti dall’Europa dell’austerity; il deficit lo ridurremo l’anno prossimo.
E questo è stato il primo appunto europeo: ma ve ne siete dimenticati, del vostro impegno, della promessa dello scorso anno? E già: ci si aspetta che un capo di governo mantenga la parola data. Evidentemente, Renzi non è dello stesso avviso e ci fa fare una figura de merde (scusate il francesismo). Se lo avessimo eletto noi cittadini, ci sarebbe di che vergognarsi. Per fortuna, anche lui è solo un nominato, per cui la vergogna ricade, giustamente, su tutti quei nominati che gli hanno dato la fiducia (pensa che furbi!).
E dire che, per un politico, esser di parola (o almeno apparire tale) è la virtù più importante: un politico che non mantiene le promesse, come fa a chiedere di essere votato? Ah già, dimenticavo: Renzi non è mai stato votato, se non nelle primarie del PD!
Dal punto di vista della Commissione, la nostra manovra economica è davvero paradossale. Dalla promessa dell’anno scorso, il governo italiano ha avuto un anno di tempo per pensare a come ridurre la spesa pubblica, che è il doppio rispetto alla Germania e più del doppio rispetto alla Francia, quindi qualche limatina può subirla senza danni. Un anno per ridurre l’evasione fiscale, che è dieci volte più alta che in quei paesi. Un anno, in poche parole, per ridurre in qualche modo un debito di 2.250 miliardi di euro, che supera abbondantemente il PIL e continua a salire ed è il macigno che blocca la strada del nostro futuro o, forse, ci nega un futuro.
E, dopo un anno, non sa produrre niente di meglio che la reiterata pretesa di allargare, ancora una volta, i limiti del deficit dicendo di nuovo: lo ridurremo il prossimo anno.
Come i tossici: domani smetto.
Ma vi pare possibile che qualcuno, in Europa, gli creda?
Forse gli crede qualcuno in Italia, ma solo perché guarda troppa televisione, dove gli imbonitori di tutti i tipi (politici e commerciali) continuano a prosperare.
Il punto più difficile da mandar giù è proprio l’impegno a ridurre il deficit il prossimo anno. Non lo dico per diffidenza verso gli imbonitori, ma proprio per il meccanismo perverso di questa finanziaria o come diavolo la si voglia chiamare.
Infatti, si sono introdotte nuove spese che resteranno anche i prossimi anni: i soldi per le case farmaceutiche (pardon, per la sanità), l’APE, i contratti del pubblico impiego, il fondo esuberi bancari (fino al 2023) eccetera eccetera. Ma si compensano le maggiori spese con provvedimenti per loro natura non ripetibili, come la “rottamazione” di Equitalia (un altro cambio di nome, ma non di sostanza) o la “voluntary disclosure” dei capitali esportati o controsoffittati.
Provvedimenti che, se da una parte danno un gettito incerto (non è dato sapere quanti evasori fiscali, mafiosi, criminali comuni, corrotti e corruttori del MOSE e della TAV vi aderiranno, oltre alle più normali vittime del fisco), dall’altra incoraggiano, come tutte le sanatorie, il perpetuarsi dell’evasione fiscale, della corruzione ecc. ecc. Quindi hanno un risultato positivo incerto e limitato nel tempo, a fronte di uno stabile (si direbbe eterno, stando alla loro ciclica ricorrenza) effetto negativo sul bilancio dello stato (e sulla vita civile).
Quindi, dice la Commissione, non soltanto hai dimenticato la promessa dello scorso anno, ma hai posto le premesse per non poterla mantenere neanche il prossimo: ecco la traduzione dal linguaggio diplomatico all’italiano corrente.
Una persona normale sarebbe morta dalla vergogna. Un imbonitore no: alza la voce e minaccia il veto al bilancio dell’UE. Altro che Vanna Marchi!
Dunque, il “combinato disposto” (com’è di moda dire) della mancata riduzione del debito e della copertura di spese permanenti e certe con provvedimenti provvisori ed incerti ha come effetto di rendere particolarmente oscuro l’avvenire e nebuloso il presente.
E, purtroppo, non è tutto.
Nel marzo 2017 è prevista la fine del “quantitative easing” della BCE. Anche ammesso che possa esserci qualche proroga, è evidente che il QE non può durare per sempre. Con la credibilità che abbiamo acquistato con le due ultime leggi di bilancio, non è difficile prevedere un’impennata dello spread sui titoli di stato italiani. D’altronde, sarebbe stupido investire su un paese che dimostra di non voler rientrare dal debito. Se la BCE smette di comprare i nostri titoli, credete forse che li comprerebbe la Bundesbank? Ci ritroveremmo – anzi, ci ritroveremo – come prima del governo Monti. Non oso pensare che cosa si metterà a tagliare il salvatore della patria di turno tra un paio d’anni, pur di non tagliare gli sprechi di stato che sono stati così tenacemente protetti in queste ultime finanziarie.
Dulcis in fundo, c’è il problema dell’articolo 81 della Costituzione, che è stato modificato nel 2012, prevedendo l’obbligo del pareggio di bilancio (“ogni legge che importi nuovi o maggiori oneri provvede ai mezzi per farvi fronte”).
Tanto per smentire gli innovatori che lamentano l’inerzia delle passate legislature, questa è soltanto una delle decine di modificazioni della costituzione approvate dal parlamento (a così larga maggioranza che non fu necessario un referendum). In linea di principio, la legge di bilancio in via d’approvazione, sarebbe incostituzionale. Infatti non provvede ai mezzi per far fronte ai nuovi o maggiori oneri. Come dire che non è “l’Europa” a pretendere la riduzione del deficit, ma la nostra Costituzione.
Per fortuna, il nuovo articolo 81 è stato scritto con i piedi e recita: “Il ricorso all’indebitamento è consentito solo al fine di considerare gli effetti del ciclo economico e, previa autorizzazione delle Camere adottata a maggioranza assoluta dei rispettivi componenti, al verificarsi di eventi eccezionali”. Che cosa voglia dire la frase “al fine di considerare gli effetti del ciclo economico” Dio solo lo sa. Sospetto che non voglia dir nulla, ma serva a poter annullare il vincolo costituzionale del pareggio di bilancio.
È, comunque, un esempio di come la Costituzione possa essere cambiata peggiorandola: ed anche questo è un fatto più stabile della nostra economia.

di Cesare Pirozzi

Print Friendly, PDF & Email