Per una migliore dannazione a Kinshasa
Quando si spara addosso a esistenze luminose come quella dell’Ambasciatore Luca Attanasio si rimane sempre più senza capacità di dire, di pensare qualcosa di sensato. Solo un’esclamazione e una domanda, entrambe straziate, esplodono in noi: “Non è possibile! Perché proprio a una persona così bella!”. La stessa esclamazione e domanda che ci si è piazzata in mezzo al cervello quando alla periferia del Cairo è stato ritrovato il corpo massacrato di Giulio Regeni. Purtroppo il nostro ambasciatore non era solo in quel viaggio di pace e d’aiuto nel nord del Congo, e una sventagliata di piombo ha colpito anche il carabiniere Vittorio Iacovacci e l’autista Mustapha Milambo. Attenderemo ora gli sviluppi di indagini che cercheranno di chiarire ogni circostanza del tragico accadimento. Non si tratta, però, solo di misure di sicurezza militari, più o meno adeguate, o di prudenza personale, intuito, istinto super esercitato di sopravvivenza. O anche di essere stato “venduto” da qualcuno, come ha accusato Zakia Seddiki, la moglie dell’Ambasciatore Attanasio.
È che è assurdamente facile morire in una missione umanitaria in zona di guerra. Lo so con certezza per esperienza personale. Negli anni ’90 ho partecipato a un tale tipo di missione a Mostar, durante la guerra dei Balcani in Bosnia Erzegovina. Dovendo portare aiuti a bambine e bambine delle scuole elementari, il mio compito – assolutamente neutrale – non mi esponeva a particolari pericoli di tipo politico-militare: pure più volte ho corso seriamente il rischio di rimanerci. Accade, infatti, qualcosa di più abissalmente esistenziale. E – soprattutto – che attiene a quello che i greci antichi chiamavano, Dike, giustizia. Il Congo e le varie Afriche, più in generale, sono depositi a cielo aperto di immense risorse minerarie, storicamente oggetto di razzia, massacri, sottomissione a schiavitù, corruzione, vasta miseria continentale.
Di Attanasio, Iacovacci e Milambo molti di noi hanno appreso per mezzo del proprio smartphone. Apparecchio che – come tanti altri – funziona solo grazie al Coltan, contrazione di Columbite-tantalite. È questa la combinazione di due minerali che raramente si trovano allo stato puro in natura, e di cui è stracarico il sottosuolo congolese. Tale combinazione chimica, però, arricchisce unicamente l’Occidente, mentre riduce non solo a miseria, ma ad angherie, sopraffazione, cieca violenza le popolazioni autoctone. E questa è la legge dominante in quelle ed altre latitudini dei dannati della Terra. Talmente dominante da configurarsi quale forma di Brutalità a Legislazione Unica Universale. Dove sono stati ferocemente falcidiati i nostri tre, più alta è la concentrazione di Coltan che fa funzionare i nostri telefoni, computer, navicelle spaziali, più alta anche la concentrazione di forza bruta. Questa, però, non è come un minerale, che rimane inerte sotto terra. La stessa forza che serva a estrarlo, ha sempre anche un’altra sua intrinseca necessità logica: quella di esercitarsi, di scaricarsi contro una debolezza. Essa cerca la debolezza, la fiuta, la individua, sotto qualsiasi aspetto essa si manifesti. Per colpirla inesorabilmente a morte: come un che di imperdonabilmente colpevole. Per questo muoiono soprattutto le persone più luminose, più belle, più innocentemente aperte alla possibilità di addurre giustizia e bene.
Quale giustizia, quale bene, se il dominio istituzionale è l’ingiustizia e il male? Perché l’Onu, ossia l’Organizzazione delle Nazione Unite, invia caritatevoli missioni di aiuto, pace e interposizione militare – ossia meri cerotti blandamente analgesici – e non invia proprio dentro quelle nazioni che rappresenta truppe di interruzione delle rapine, razzie, schiavizzazione, corruzione, massacri indotti dalle principali aziende che le inducono per i loro sacralizzati profitti. Perché – contro l’odio più cieco che quelle entità economiche alimentano – sventaglia proprio la luce più pura e originaria dell’esistenza, rappresentata da persone come Luca Attanasio? D’altronde contro una nuvola di sangue buio è stato scaraventato e ancora oggi avvolto uno dei suoi più luminosi rappresentante. Nella notte tra il 17 e il 18 settembre 1961, proprio nel cielo del Congo, precipitò l’aereo con a bordo lo svedese Dag Hammarskjöld, secondo Segretario Generale dell’ONU dal 1953. Un incidente mai chiarito, anche se il presidente americano Harry Truman, il giorno successivo, disse esplicitamente: “L’hanno ucciso quando era sul punto di ottenere qualcosa”, in relazione a un’acuta crisi locale in atto. Truman, però, si è sempre rifiutato di delucidare tale sua mai smentita affermazione. Lo storico Luciano Canfora, invece, scrive nel suo Critica della retorica democratica, 2002: “E ora, dopo quarant’anni, nelle pagine molto interne dei giornali, leggiamo quello che abbiamo sempre saputo: che l’Union Minière condannò a morte (per “incidente aereo”) anche Hammarskjöld, il segretario generale dell’ONU, colpevole di opporsi alla secessione del Katanga, preda avita dell’Union Minière”.
Ecco, non possono proprio più le pupille dell’esistenza precipitare da un aereo o essere trafitte da pallottole nell’ombra fitta di una boscaglia solo per una migliore dannazione a Kinshasa. Dike, la vera inesorabile giustizia è per intero o non è proprio.
di Riccardo tavani