©ine-pillole sul soglio di luglio

Riccardo Tavani

Raffaello – Il giovane prodigio. Uno dei migliori della serie Nexo Arte, per avere una visione critica d’insieme della folgorante vicenda artistica di uno dei massimi geni della pittura d’ogni tempo. Tanto conosciuto come nome per la sua prematura – e anche in questo folgorante – scomparsa, quanto poco per l’autentico valore dei suoi capolavori a cavallo del 1500. I nuovi mezzi tecnici del cinema sono ormai capaci di entrare fin dentro la consistenza delle pennellate, i pori della tela, i disegni originali nascosti sotto il colore e i rifacimenti. Niente di più appropriato per l’arte dell’immenso urbinate. Mostrata e spiegata anche la sua profonda conoscenza, amore e salvaguardia del patrimonio architettonico dell’Antica Roma, di cui diviene responsabile per decreto papale. Ancora in qualche sala.

I profumi di Madame Walberg. Sentimentale solo apparentemente commedia. Collaudato schema della coppia di personaggi a contrasto, l’una l’opposto dell’altro. Uno trasandato chauffeur, sentimentalmente separato, precario sia economicamente, sia con sua figlia, diventa autista fisso di un’esperta di odori e profumi che deve spostarsi continuamente per lavoro. Madame Walberg è raffinatissima, ordinatissima, con delle sue fisse: ossia, insopportabile per lo chauffeur. Come questi, però, nonostante sia chiamata dappertutto, è anche lei una precaria. Soffre di una rara sindrome – detta anosmia – che le fa perdere all’improvviso l’olfatto. E questa è la vera chiave del film. Non c’è niente di più impalpabile di un odore, un profumo, dell’olfatto che li coglie nella loro rapida evanescenza, ma diventa evanescente esso stesso. È una parabola del lavoro, dei rapporti familiari e sentimentali oggi. Niente di più inconsistente e fuggevole. Riusciranno gli opposti, tesi e antitesi a trovarvi una qualche sintesi? In sala.

Maledetta Primavera. Tutto fumo a tutto schermo. Una famiglia, causa debiti da gioco del padre-marito, deve trasferirsi da zona centrale a estrema periferia cittadina, con conseguente sofferenza figliale. A parte la fatica di ricorrere a un titolo così abusato, il fumo è dappertutto. Oltre che nella consistenza narrativa e registica, anche in quello delle sigarette sempre ingiustificatamente accese e in primo piano, non solo sulla bocca dei protagonisti adulti ma, a un certo punto, anche su quella di un’adolescente. Una vera e propria marchetta tabagista. Si avrebbe diritto al rimborso del biglietto per tanta pubblicità esplicitamente occulta alle multinazionali del settore. Le quali – lo abbiamo e continueremo a denunciarlo – sono tornate alla grande a intossicare gli schermi e gli occhi degli spettatori. In sala.

La vita che verrà – Herself. Non solo denuncia della brutalità patriarcale. Una giovane donna si sottare alle continue violenze del marito andandosene di casa. Non è facile, però, trovare un lavoro, un reddito, un alloggio degno della figlia che ha portato via con sé. Anzi, è una condizione disperante, proibitiva. Sull’esempio di un architetto che insegna ad auto costruirsi una casa in legno, riesce a farsi prestare dei soldi, un angolo di terreno e a mobilitare intorno a sé una piccola squadra di costruttiva solidarietà tecnica e sociale. Ossia, oltre la denuncia c’è anche la ricerca di un’alternativa di vita concreta. La protervia patriarcale, però non si dà così facilmente per vinta. Ricorre al peggio delle nefandezze possibili, sospendendo sull’orlo di un precipizio le fattive speranze di riscatto della protagonista. In sala.

La brava moglie. L’effervescenza femminile non basta. Alle soglie della rivolta giovanile sessuale del ’68, in Francia, presso una località alsaziana, c’è una piccola rinomata scuola che prepara le ragazze che si avvicinano alla soglia del matrimonio a diventare brave mogli, pronte a soddisfare ogni desiderio e necessità del marito. L’ordine della scuola-collegio-gineceo, però, è presto sconvolta da una serie di piccoli inconvenienti. Essi vanno piano piano a formare una consistente valanga che rischia di travolgere l’ultimo baluardo della tradizionale educazione familiare femminile. La briosità e bravura recitative di tutte le interpreti, scontata quella di Juliette Binoche, più sorprendente quella di Yolande Moreau, però, serve solo a coprire un’esilità dei contenuti che potevano essere più pregnanti, anche se sempre nel tono di commedia, considerati i temi in gioco. In sala.

Il processo ai Chicago 7. Importante ricostruzione di una cruciale pagina del ’68 americano e della controcultura mondiale. Dopo le manifestazioni di protesta giovanile al congresso del Partito Democratico a Chicago nell’agosto del 1968, per la sua posizione sulla guerra in Vietnam, sette imputati di spicco di quel movimento vengono messi sul banco degli imputati. All’inizio gli imputati erano otto, perché la procura era riuscita a mettere alla sbarra Bobby Seale, il leader delle Pantere nere, totalmente estraneo ai fatti. Il genere cinematografico scelto per restituirci tale pagina è quello del legal. Uno dei generi in cui gli americani sono insuperati maestri. Genere scelto anche perché attraverso il processo farsa a quei sette, si vuole mettere sotto accusa la brutalità della polizia e il cinismo politico della Presidenza Nixon che successe a quella di Lindon Johonson. Brutalità ed efferato cinismo che recenti fatti di cronaca politica hanno rimesso all’ordine del giorno, uno solo in Usa. Su Netflix.

La cordigliera dei sogni. Dentro cordigliera cilena per capire la tristezza di un popolo per lo stupro subito. Patricio Guzmán compie il terzo movimento della sua grande sinfonia sul Cile dopo il brutale golpe del ’73 e la sua incarcerazione. Esule da quei giorni, mostra la vera origine documentaria del grande cinema. La sua macchina da presa entra per la prima volta dentro i paesaggi insoliti e spettacolari della Cordigliera a ridosso di Santiago. Se ne serve per entrare – attraverso testimonianze e vicende – dentro l’animo violentato e non ancora risanato dei suoi conterranei. Particolarmente vivida e importante il racconto del regista Pablo Salas, il quale è riuscito a non abbandonare mai il suo paese, a continuare riprendere immagini di repressione, e oggi ancora di lotta, attraverso milioni di ore di riprese, tutte conservate e accatastate nel suo studio di Santiago. Ancora in qualche sala.

di Riccardo Tavani