L’altro siamo noi

“Dia-logos: parola che si lascia attraversare da una parola altra: intrecciarsi di linguaggi, di sensi, di culture, di etiche; cammino di conversione e comunione. Il dialogo non ha come fine il consenso, ma un reciproco progresso, un avanzare insieme”. Il libro di Enzo Bianchi, ex priore della comunità di Bose, autore di numerosi libri sulla spiritualità cristiana e sulla tradizione di dialogo sulla Chiesa con il mondo contemporaneo, ci fa riflettere sulla importanza di sentirsi partecipi della fratellanza come elemento comune di avvicinamento all’altro.

La questione della immigrazione ci pone difronte ad un aspetto da non sottovalutare, anzi ci invita non solo a dialogare, ma a sentirci vicini, prossimi al prossimo. Non è un emergenza negativa, ma un aspetto che coinvolge il nostro comune sentire senza escludere ma accogliendo a braccia aperte le diverse culture che ci attraversano. Il volere emarginare, il respingere, il criminalizzare non è da buoni cristiani. Sempre di più si stronca ogni richiamo alla solidarietà e l’ascolto dell’altro con una cattiva predisposizione additando l’altro come elemento negativo. Non si possono denigrare le anime belle che giungono a noi attraverso il mare, spesso morendo in mare.

Padre Enzo Bianchi, in questo libro edito daEinaudi  ci invita a fare passi avanti nel principio della comunione, mettendo in pratica le vie indicate da Papa Francesco con la sua enciclica “Fratelli tutti”. Lo straniero non è straniero solo perché viene da lontano. Lo straniero siamo noi con i nostri comportamenti che invece di avvicinare allontanano. La capacità di parlare, con linguaggi diversi, è una ricchezza dell’anima che comprende ogni forma di spiritualità, iniziando dal nostro essere cristiani sulla via della solidarietà.

Un lavoro di ascolto nei confronti dei nostri fratelli che giungono da lontano per contaminarci con ciò che di più buono è racchiuso dentro ognuno.

“Michel de Certeau teologo e antropologo, instancabile viaggiatore attraverso paesi, culture e persone diverse, definiva lo storico come colui che ha il gusto dell’altro e il cristiano come chi cerca di far posto all’altro. Per lui l’altro, lo straniero è al contempo l’irriducibile e colui senza il quale vivere non è più vivere. In questo senso possiamo declinare il rapporto tra noi e gli altri come relazione dinamica in cui entra in gioco anche la dimensione temporale: oggi io sono quello che altri sono stati prima di me e, a loro volta, gli altri possono diventare quello che io sono o ero a un certo punto della mia vicenda umana”.

Ma anche Esodo parlava del forestiero “Non opprimerai il forestiero; anche voi conoscete la vita del forestiero, perché siete stati forestieri nel paese d’Egitto”.

Ma spesso ci dimentichiamo di essere stati forestieri in casa nostra, con il comportamento avverso allo straniero, con atteggiamenti di rifiuto e emarginazione, dimenticando che escludendo, escludiamo noi stessi dalla vita reale a dalla spiritualità cristiana di cui siamo intrisi.

Edmond Jabès, ci ricorda padre Enzo Bianchi, scriveva “Lo straniero ti permette di essere te stesso, facendo di te uno straniero…la distanza che ci separa dallo straniero è quella stessa che ci separa da noi”.

Emanuele Caldarelli