La notte in cui delle piccole luci fecero brillare Roma
L’11 giugno 2024 si compiono quaranta anni dalla morte del Segretario.
Non serve aggiungere altro. Questa dizione apparentemente scarna, “Segretario” trova la propria potenza di significato, esattamente nel punto in cui non necessita di una identificazione personale. E proprio in quel punto si afferma il passaggio dall’uomo al mito.
Mito deriva dal greco Mythos e significa “parola, discorso, racconto” e dell’ultimo comizio di Enrico Berlinguer, a Padova, in piazza della Frutta il 7 giugno 1984, sentiamo ancora risuonare le parole, avvertiamo ancora l’angoscia della percezione che insieme all’uomo stava morendo una età irripetibile della politica italiana, proviamo ancora, fino a commuoverci, la lacerazione del distacco.
Erano semplici le proposte politiche di Berlinguer, ma non per questo non rigorose e non lungimiranti. Erano semplici e vere. Trasparenti, oneste e accessibili, in termini di significato, da una platea che comprendeva indistintamente operai e imprenditori, borghesia e proletariato, analfabeti e universitari.
Era rigoroso Berlinguer, perché il suo compito di segretario di un partito votato alla difesa delle classi sociali più deboli, richiedeva fermezza e coerenza.
Era lungimirante Berlinguer, perché non ha mai interpretato il proprio impegno politico con il semplice superamento di uno sbarramento elettorale, lui guardava oltre. L’affermazione del partito era solo lo strumento per accedere ai tavoli di contrattazione, sociali e governativi. Era solo la condizione per realizzare una politica di servizio al paese Italia.
Era così lungimirante da rendere ancora attuale, nonostante i quarant’anni trascorsi, il suo ultimo intervento politico:
“Lavorate tutti, casa per casa, azienda per azienda, strada per strada, dialogando con i cittadini, con la fiducia per le battaglie che abbiamo fatto, per le proposte che presentiamo, per quello che siamo stati e siamo, è possibile conquistare nuovi e più vasti consensi alle nostre liste, alla nostra causa, che è la causa della pace, della libertà, del lavoro, del progresso della nostra civiltà!”
Chiediamoci se non è questa, ancora oggi, l’unica ricetta per svolgere una politica a favore dei cittadini e se la causa della pace, della libertà, del lavoro e del progresso della nostra civiltà, non siano le stesse cause per le quali, oggi, non abbiamo ancora trovato soluzione.
Sarebbe facile e scontato paragonare, oggi, il Segretario alla pletora “di nani e ballerine, di sceriffi e borgatare” che rappresentano la maggioranza dell’attuale panorama politico italiano, ma questo paragone “non s’ha da fare” per rispetto alla figura di un uomo politico che in nessun modo può o deve essere associato alla melma attuale.
Sono stati tanti i politici che si sono succeduti. Tanti, tantissimi sono morti e molti di loro hanno ricevuto l’affetto della base e dei militanti, ma mai nessuno come Berlinguer.
Un membro della vigilanza del PCI presente a Botteghe Oscure nei dannatissimi giorni che vanno dal 7 all’11 giugno 1984, ha raccontato:
“ci sentivamo persi, ma non avevamo tempo per piangere. Il nostro desiderio era poter proteggere il Segretario e la sua famiglia ancora una volta.
La notte del 12 giugno, Via delle Botteghe Oscure era transennata. Nessuno poteva transitare e c’erano ali di folla aldilà degli sbarramenti. All’interno del palazzo la camera ardente.
Si avvicinava l’ora di chiudere, era quasi mezzanotte, ma dal secondo piano ci avvisarono che dalla Prefettura era arrivata notizia che da Civitavecchia erano partiti dei pullman con una folta delegazione di minatori del Sulcis che volevano rendere omaggio al Segretario. Decidemmo di non chiudere e di aspettarli. Ad un certo punto da Largo Argentina, iniziammo a vedere una massa scura in lontananza, che si avvicinava. Questa massa si distingueva solo per tante piccole luci che si muovevano allo stesso passo. Erano loro, i minatori, con i loro caschetti accesi. Fu una immagine irreale e non ricordo, in quel momento, né voci né altro. Solo queste luci che si avvicinavano nel buio e nel silenzio.
Entrarono, raggiunsero il feretro e si posizionarono intorno alla bara facendo il picchetto d’onore.
Non avevamo bisogno di conferme dell’amore che la gente aveva nei confronti di Berlinguer, ma lì avvertimmo la concentrazione di tutte le emozioni che stavamo vivendo. Lì c’era il suo popolo, la sua gente, la sua terra, le sue battaglie e lì, di fronte a questi minatori, avvertimmo ancora di più la grandezza dell’uomo.”
… “casa per casa…dialogando con i cittadini… pace…libertà… lavoro… progresso…” parole che ci rimbombano in testa di fronte ad ogni ingiustizia, di fronte ai licenziamenti, di fronte agli studenti picchiati, alle donne ammazzate, ai genocidi annunciati, ai lavoratori assassinati dal profitto, ai malati che non vengono curati, ai diritti negati, e noi, nonostante tutto, continuiamo a crederci, a insistere in quella piccola porzione individuale di resistenza che ci è rimasta e che troppo spesso, per stanchezza e per assenza di esempio e forse anche perché ci siamo anche un po’ vigliaccamente adeguati, non rivendichiamo.
Permane però, forte e indistruttibile, quello che ci ha insegnato il Segretario e che Daniele Silvestri sintetizza magnificamente in “quella vecchia idea de esse tutti uguali”.
Lucia Salfa