Figli di un dio minore

I braccianti muoiono. Quasi ogni giorno. Sotto il sole. Nei campi di pomodori, meloni e ortaggi. Una vita da schiavi. Senza tutele. Muoiono. Soli. Senza nessuno che piange la loro morte. Schiavi di un sistema che uccide. Schiavi della avidità e del profitto. Dopo Satnam Singh sono morti altri lavoratori. È morto anche Dalvir Singh nei campi di Latina. Braccia al soldo dei caporali. Sfruttati e sottopagati. Muoiono come mosche. Quando non li uccide il sole, li uccide la fatica. Lo sfruttamento di braccia è infernale, i lavoratori e le lavoratrici vengono vessati, malmenati, violentati, senza nessuna difesa. Hanno bisogno di lavorare. Lavorano, zitti, in silenzio, sopportano soprusi di ogni genere. Vengono pagati poco, qualche euro per un ora di lavoro. A volte non li pagano. Riescono a malapena a mangiare. Con la schiena cotta dal sole, le piaghe e le ustioni, eppure resistono, senza un lamento. Il ricatto del lavoro che uccide. Mettono in gioco la loro vita e muoiono.

Da inizio dell’anno sono morti sul lavoro circa 500 persone. Una strage. Una ecatombe che nessuno ferma o vuole fermare. Si muore sui cantieri, nelle fabbriche, nei campi, schiacciati da trattori, da presse, da macchinari, la morte sul lavoro uccide innocenti, figli di un dio minore, senza tutele e senza riguardo.

La vita dei nuovi schiavi è dura, vivono, mangiano (non sempre) dormono, in capanne di di fortuna, in casali abbandonati senza acqua né luce, un inferno quotidiano dove la speranza è morta con loro. Quando non uccide il lavoro, uccide la miseria, gli stenti, la fame. Il sole, così amato, uccide che non ha difese, come noi villeggianti che il sole lo prendiamo sotto gli ombrelloni, con una granita in mano e la crema antisolare a proteggerci la pelle. Loro, gli schiavi dei campi, non hanno creme o granite, hanno solo fame. Fame di l’acoro per poter sfamare i figli in terre lontane.

Emanuele Caldarelli