Shalom aleichem
Il saluto del nuovo Pontefice dopo l’elezione è stato: “la pace sia con tutti voi”. Può sembrare banale, giacché tutti pronunciano (più o meno a proposito) la parola pace e apparentemente ne condividono il significato.
Ma ha anche aggiunto: “questo è il primo saluto del Cristo Risorto”.
Un saluto che probabilmente suonò, all’epoca, “shalom aleichem”: la pace sia su di voi. Un saluto che dovremmo usare più spesso, come fanno gli ebrei (ma anche i musulmani: as-salāmu ʿalaykum, che ha un suono così simile e lo stesso significato), poiché la parola ebraica shalom vuol dire anche benessere, completezza; un saluto che è anche una forma di augurio ed esprime rispetto nei confronti dell’altro molto più che dire buongiorno.
Con questo saluto la parola “pace” ci ricorda che pace non è semplicemente il contrario di guerra. Non basta che non ci sia una guerra per essere in pace.
Gli ultimi 80 anni della storia europea lo dimostrano in modo evidente. In questo periodo i Paesi europei non sono stati più in guerra l’un contro l’altro; tuttavia, non mi sento di dire che l’Europa sia stata davvero in pace. Le guerre-in-tempo-di-pace di questi 80 anni sono state soltanto meno visibili rispetto alle guerre-guerre di prima. La Spagna è stata insanguinata dal conflitto con l’ETA, l’organizzazione armata basco-nazionalista; il Regno Unito dal conflitto con l’IRA, l’esercito clandestino irlandese; l’Italia ha subito attentati e stragi di matrice politica o, in qualche caso, causate da quello che potremmo definire fuoco amico. Più recentemente buona parte dell’Europa è stata insanguinata dal terrorismo islamista. Per non parlare della guerra nell’ex Iugoslavia negli anni 90 e di quella in Ucraina oggi.
Sono stati 80 anni di non-guerra, più che di vera pace.
Ma se la non-guerra può essere considerata frutto dell’azione politica, la pace vera è molto di più. Richiede, infatti, una sorta di radicale trasmutazione dell’animo umano (la “metanoia” evangelica, troppo superficialmente tradotta come “conversione” o “pentimento”), che mai non è avvenuta per quasi tutti noi. Per questo il discorso del Papa, che lega la pace al Cristo risorto (una pace che “proviene da Dio”, come egli ha affermato) è tutt’altro che banale. La pace vera, completa, che è anche uno stato di pace interiore, non può non nascere nella profondità dell’animo umano, dalla rinuncia alla logica del più forte, dal rispetto profondo dell’altro, dall’abbandono dell’egoismo radicale che oggi ci governa. E non appartiene ai soli cristiani, ma a tutti gli esseri umani. Non per niente il più grande sostenitore del pacifismo e della non violenza nell’epoca moderna è stato il Mahatma Gandhi, che era di religione giainista e che citava Giuseppe Mazzini tra i pensatori che lo avevano ispirato; a sua volta, questi auspicava, come fondamento del convivere civile, una religione civile e umanitaria, che poco sarebbe piaciuta ai Papi di allora.
Certo, ci piacerebbe anche che cessassero le attuali guerre guerreggiate, che anzi rischiano di aumentare. Ma evidentemente la pace, anche intesa come semplice e tuttavia auspicabile non-guerra, ha bisogno, per crescere ed essere stabile, che si instauri la pace vera nel cuore degli uomini. È un sogno più ambizioso della non-guerra che si difende con le armi: si vis pacem, para bellum. Leone XIV ce l’ha ricordato con il suo primo discorso: questo tipo di pace non ha bisogno di armi, non ha bisogno di preparare la guerra.
Oggi è un’utopia, ma nulla impedisce di sognare che possa essere la realtà di domani: si vis pacem, para pacem.
Cesare Pirozzi