25 aprile. Mimma cara, quando sarai grande capirai meglio.
Sono nata in una nazione libera grazie a tutte quelle persone che non hanno esitato a morire per crearla. Il mio grazie eterno va in modo particolare alle donne che hanno partecipato alla Resistenza a mano disarmata in silenzio, senza sogni di gloria: le “staffette”.
Quando nei primi mesi del ’43 la seconda guerra mondiale è entra nelle città e le bombe hanno squarciato i tetti e sono arrivate nelle cucine, nelle camere da letto, anche alle donne è toccato un ruolo impegnativo nella lotta per la liberazione. Giovani, disperate o coraggiose, disilluse o forse solo “nuove”, le donne sono diventate protagoniste attive della Resistenza, disposte persino a morire per un mondo diverso.
Paola Garelli, nome di battaglia Mirka, parrucchiera, di 28 anni, dall’ottobre del ’43 ha svolto il ruolo di collegamento e rifornimento viveri e materiali per le formazioni partigiane della sua zona. Arrestata dalle Brigate Nere, il 1° novembre del 44 è stata fucilata (senza processo) dal plotone fascista. Prima di morire ha scritto un’ ultima lettera alla figlia.
“Mimma cara,
la tua mamma se ne va pensandoti e amandoti, mia creatura adorata, sii buona, studia e ubbidisci sempre gli zii che t’allevano, amali come fossi io.
Io sono tranquilla. Tu devi dire a tutti i nostri cari parenti, nonna e gli altri, che mi perdonino il dolore che do loro. Non devi piangere né vergognarti per me. Quando sarai grande capirai meglio. Ti chiedo una cosa sola: studia, io ti proteggerò dal cielo.
Abbraccio col pensiero te e tutti, ricordandovi.
La tua infelice mamma.”
Le guerre sembrano sempre cose da uomini, ma basta leggere i numeri ufficiali forniti dell’Associazione Nazionale Partigiani d’Italia per capire che le donne hanno partecipato in misura massiccia alla Resistenza. In tutto sono state 35.000 le donne partigiane, inquadrate nelle formazioni combattenti; 20.000 le patriote, con funzioni di supporto; 70.000 in tutto le donne organizzate nei Gruppi di difesa; 16 le medaglie d’oro, 17 quelle d’argento; 512 le commissarie di guerra; 683 le donne fucilate o cadute in combattimento; 1750 le donne ferite; 4633 le donne arrestate, torturate e condannate dai tribunali fascisti; 1890 le deportate in Germania.
Per la maggior parte hanno fiancheggiato il movimento partigiano come “staffette” portando cibo, armi, riviste, materiale di propaganda. Disarmate, senza potersi difendere, hanno rischiato la vita, le torture, le violenze sessuali. Eppure hanno svolto l’importante ruolo di protezione dei partigiani: li hanno curati, protetti, nutriti nei nascondigli, si sono preoccupate della sopravvivenza di chi si era condannato alla clandestinità. La clandestinità è stata vita dura, fatta di settimane intere nascoste nelle cantine o nei boschi, con la paura e il tempo che non passano mai e la conta dei morti che non ti fa dormire. E poi la fame: giorni e giorni senza sapere quando e cosa mangiare. E la fatica, una fatica bestiale: chilometri e chilometri a piedi. Notte e giorno con la stessa camicia, lo stesso vestito, la stessa biancheria.
Sono stati venti mesi di lotte durissime, di spaventosi eccidi compiuti dai nazifascisti, ma anche venti mesi di passioni, di amori, di coraggio e abnegazione.
Le staffette, le donne che hanno nutrito, vestito, appoggiato la Resistenza, giovani e belle come la libertà, oggi non ci sono più. Il tempo le ha portate ormai tutte con sé. I loro nomi si sono dimenticati, le loro fotografie sono sbiadite. A noi il compito di non tradire le loro conquiste.
di Daniela Baroncini