Il Rojava era un laboratorio di libertà

Dopo essere stati in prima linea nella lotta contro Isis, i Curdi sono stati traditi e abbandonati dagli Stati Uniti. Come conseguenza immediata sono arrivati i bombardamenti turchi, il “soccorso” siriano, il protagonismo russo e il silenzio europeo.

Il ritiro degli Usa è certo biasimevole ma non incomprensibile. Trump considera ormai irrealizzabile l’obiettivo iniziale della cacciata di Assad dalla Siria e allora, anche per compiacere i suoi alleati sauditi e israeliani, ha spostato l’attenzione su quello che oggi considera il vero pericolo: la crescita d’influenza dell’Iran. Nella sua “visione” questa influenza va limitata. L’avanzata dei turchi sunniti verso quei territori siriani dove sono presenti i pasdaran iraniani è per gli Usa un buon risultato. Di primaria importanza, poi, la possibilità di riposizionare le truppe a difesa di quello che il presidente statunitense considera molto più importante della lealtà verso gli ex alleati curdi. I loro pozzi di petrolio.

Erdogan, da parte sua, ha immediatamente approfittato del ritiro americano. Con l’operazione “Fonte di pace” sta semplicemente portando a termine quanto iniziato con le campagne “Ramoscello d’ulivo” – combattuta nel 2018 contro i curdi del cantone di Afrin – e “Scudo dell’Eufrate” del 2016. L’obiettivo della Turchia è sempre lo stesso: partecipare allo smembramento della Siria e, soprattutto, distruggere l’ambizione curda di un’entità autonoma e democratica sulla base del Rojava.

Quanto a Putin, che si è mostrato molto comprensivo con la Turchia riservando le critiche soprattutto agli americani e ai curdi, ha sempre considerato l’ideale autonomista del Rojava come un ostacolo alla riconquista del paese da parte del suo protetto Assad. Inoltre, il voltafaccia americano ha offerto alla Russia la possibilità di acquisire il ruolo di potenza leader e una fortissima rendita di posizione. Infatti, lasciando partire l’attacco turco, e poi facendo mobilitare l’esercito siriano per frenarne l’avanzata, il Cremlino ha giocare il ruolo del grande mediatore. Ottenendo così un duplice risultato. Da un lato ha rinforzato le relazioni con la Turchia e, dall’altro, ha offerto ad Assad un conveniente accordo con i curdi per i quali l’unica possibilità rimasta dopo l’attacco era accettare la mediazione russa e tornare sotto la “protezione” di Damasco. Una vera manna per Assad.

L’entrata nel Rojava delle truppe dell’esercito siriano ha dunque evitato l’ingresso di turchi e filo-turchi e l’ennesimo eccidio della popolazione civile curda ma al prezzo della fine dell’idea stessa del Rojava.

Davanti a tanti interessi il popolo curdo – i suoi 11mila morti nella lotta contro il Califfato e le forze dell’estremismo islamista – e la sua proposta politica democratica del Rojava, in un Medio Oriente dove dominano i regimi autoritari e dittatoriali, rappresentava ormai un impiccio.

La nascita di un’entità intenzionata a garantire una società pluralistica, rispettosa della diversità di genere, multi-religiosa, solidale ed ecologicamente compatibile non era ben vista da  nessuna delle potenze planetarie e regionali intervenute.

Il Rojava era un laboratorio di libertà. Di questo sogno si è nutrita la resistenza contro Isis e la sua barbarie. E a causa di quest’aspirazione il popolo curdo è stato abbandonato.

di Enrico Ceci

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