Diario dal Giappone 3. L’aeroporto che rischia di affondare

Ci sono un’americana, un’europea e un’asiatica. No, non è l’inizio di una barzelletta, ma le tre opere ingegneristiche con il miglior impatto sulla vita del 20esimo secolo. A sceglierle, insieme ad altre sette, è stata l’American Society of Civil Engineers nel 2001: Canale di Panama, Eurotunnel e l’aeroporto Kansai International di Osaka.

Un gioiello di ingegneria, un monumento di architettura, che porta la firma non a caso dell’italiano Renzo Piano. L’obiettivo è ambizioso: ridare centralità internazionale all’area di Osaka, Kobe e Kyoto e alleggerire l’altro aeroporto della città, che da quel momento riceve solo voli nazionali. Ma c’è un problema: non c’è lo spazio per costruirlo.

L’idea, allora, è quella di costruire un’isola artificiale, un rettangolo di terra lungo 4 km e largo 2,5. Per farlo vengono presi materiali da tre diverse montagne, costruiti 10 km di terrapieno e 11 milioni di colonne di sabbia per accelerare la stabilizzazione dell’isola. A proteggere l’isola dalla forza del mare ci sono invece 48 mila tetrapodi. Il terminal passeggeri è tutto in vetro e acciaio e, su idea di Renzo Piano, ha la forma dell’ala di un aeroplano. “Io non ho mai fatto un lavoro senza passare del tempo nei luoghi in cui dovrà sorgere l’edificio – ha raccontato l’architetto – Quando ho detto che volevo andare sul posto, i giapponesi erano sconvolti: mi dicevano che non c’era niente, solo acqua! Ci siamo andati lo stesso, e mentre all’ingegnere è venuto il mal di mare, io son stato lì a schizzare. È importante, perché in ogni posto c’è un piccolo genius loci, che bisogna cogliere”. Oggi sono più di 18 milioni i passeggeri che passano qui ogni anno, con record nel 2019: 28,8 milioni di passeggeri.

Se questo è il passato dell’aeroporto Kansai, più difficile è invece il futuro. I progettisti già avevano fatto i conti con il pericolo della subsidenza, ovvero lo sprofondamento dell’isola sotto il peso dei sedimenti, ma adesso c’è un altro rischio: quello dell’innalzamento del livello del mare. L’aeroporto di Osaka si inabissa a una velocità molto più rapida rispetto a 30 anni fa e secondo uno studio giapponese, tra 40/60 anni le due isole che lo compongono raggiungeranno il livello del mare. Due isole, sì, perché tra 2003 e 2007 è arrivato il secondo terminal, per un costo di oltre 15 miliardi di euro.

Intanto l’isola ha resistito a mareggiate e tsunami, è sopravvissuto al terremoto di Kobe del 1995, che aveva 7 di magnitudo, e al tifone Jebi nel 2018. Adesso bisognerà resistere alla crisi climatica, che renderà questi eventi sempre più violenti e imprevedibili. Una nuova sfida per l’aeroporto. Un nuovo capitolo nella storia tra uomo e natura.

Lamberto Rinaldi