Ustica è una ferita che non si rimargina…
“Ustica è una ferita che non si rimargina, una strage che reclama verità e giustizia.”
Con queste parole il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ha ricordato la strage di Ustica, rinnovando un impegno che non dovrebbe conoscere prescrizioni né archiviazioni. Sono passati quarantacinque anni da quella notte del 27 giugno 1980, quando ottantuno vite furono spezzate nei cieli sopra il Tirreno. Oggi, come allora, resta vivo il dovere di pretendere chiarezza, di non cedere all’oblio, di non accettare silenzi di comodo o verità mutilate.
Le parole di Mattarella risuonano come un monito mentre la Procura di Roma, pur confermando dopo decenni ciò che tanti avevano già compreso — “Il Dc-9 è stato abbattuto all’interno di un episodio di guerra aerea” — chiede l’archiviazione dell’indagine. Una verità giudiziaria che non può sfociare in un processo, soffocata sotto il peso di depistaggi, distruzioni di prove, menzogne di generali, omissioni di alleati.
Come ha ricordato Daria Bonfietti, instancabile presidente dell’Associazione dei famigliari delle vittime, questa archiviazione rischia di trasformarsi in una resa. Eppure la sua voce, insieme a quella del Capo dello Stato, ci ricorda che Ustica non può essere chiusa in un faldone polveroso. Non può esultare la lobby della bomba a bordo, non possono prevalere i negazionisti di comodo. Non può morire la speranza di una giustizia completa, ostacolata dai muri di gomma eretti in Italia, in Francia, negli Stati Uniti.
Mattarella ha detto: “Il dolore dei familiari è dolore dell’intera Repubblica.” Un dolore che si alimenta di ogni archivio negato, di ogni verità parziale. Per questo diventa imprescindibile la battaglia per la declassificazione totale dei documenti, per la trasparenza, per quella collaborazione internazionale invocata dalla Bonfietti: se la strage di Ustica è stata un atto di guerra non dichiarata, allora la Repubblica deve pretendere di sapere chi l’ha combattuta, chi ha colpito, chi ha taciuto.
Il giudice Priore lo scrisse chiaro già nel 1999: “La distruzione delle prove” è stata una scelta deliberata. A distanza di quasi mezzo secolo, restano troppe ombre, come l’assenza dell’archivio dell’ammiraglio Fulvio Martini, capo del servizio segreto militare in quegli anni. Ombre che chiedono luce.
L’appello del Presidente Mattarella a non rassegnarsi è un invito a ciascun cittadino: Ustica non riguarda solo le famiglie che hanno perso padri, madri, figli. Riguarda la coscienza democratica di un Paese intero. Dove la verità non si negozia, dove la giustizia non si archivia, dove la storia non si cancella.
“Ustica non si deve archiviare”, ammonisce Bonfietti. Ed è questo il significato più profondo del messaggio del Presidente della Repubblica: la Repubblica ha il dovere di continuare a cercare, di pretendere, di custodire memoria e verità. Perché solo così il sacrificio di ottantuno innocenti non sarà stato vano. E solo così, a quarantacinque anni di distanza, quella ferita potrà iniziare, finalmente, a rimarginarsi.