“La verità sta in cielo”: il film su Emanuela Orlandi vissuto attraverso gli occhi di Elettra

Salvo

“Nel paese delle menzogne, per arrivare alla verità bisogna incontrare molti bugiardi”. Questo articolo inizia con un post su Facebook: a scriverlo è Elettra, nipote di Emanuela e di cui, oltre al cognome, porta fieramente anche i lineamenti. La frase non l’ha ideata lei, questo no (appartiene infatti al trailer); ma in uno scatto d’orgoglio Elettra l’ha fatta sua, come suo è il dolore che porta silenziosamente dentro e che chissà, forse qua e là traspare dai vari dipinti che mette a punto un po’ per svago, un po’ per sublimazione. Non ne parla mai, Elettra, di sua zia. Forse perché basta e avanza quel che fa suo padre Pietro, da anni impegnato in una lotta senza fine contro malfattori e sciacalli, monsignori sospetti e killer d’alto borgo. Sì, perché come dice il giornalista e romanziere Fabrizio Roncone, da quel maledetto giorno del 1983 a Roma s’intreccia tutto, per poi appiattirsi e dar luogo a una città “orizzontale”, priva ormai di un alto e di un basso. Male e bene si fondono e si confondono, ed Elettra questo lo sa, tanto da apparire a volte diffidente pur godendo di un gran cuore. E, oltre a lei, lo sa anche Roberto Faenza, che quegli anni li ha vissuti e forse non li ha mai somatizzati, al punto da decidere di farne un film in uscita dal 6 ottobre. Che poi tanto film non è, visto che in esso viene proposta una versione dei fatti, o meglio una ricostruzione delle ore concitate che hanno separato per sempre Emanuela da Pietro e dal resto della sua famiglia, compresa Elettra.D’altronde il titolo è tutto un programma: “La verità sta in cielo”, come a suggerire che nessuno a questo mondo potrà mai dirci quanto accaduto davvero a una povera quindicenne, che nulla c’entrava coi giri loschi di potere. Nessuno, nemmeno Papa Francesco, che suo malgrado quella frase l’ha suggerita a Pietro in uno degli ultimi incontri privi di novità. E allora a Faenza viene spontaneo chiedersi: “Cosa può esserci di così terribile da indurre il Vaticano al silenzio?”. Siamo troppo mortali per capirlo, o forse troppo ingenui. Così ingenui che per decenni abbiamo dato credito a teorie internazionali e servizi segreti esteri,
senza accorgerci che forse la soluzione era dietro l’angolo: proprio lì, in Piazza Sant’Apollinare, nella basilica affianco all’istituto in cui Emanuela suonava distrattamente il flauto. Distrattamente e allegramente, un po’ come Elettra quando dipinge, quando dà spazio alle sue emozioni più intime. O come quando fa sue le frasi che la toccano nel profondo.

di Massimo Salvo