Carlo Alberto Dalla Chiesa

Patrizia

Il 3 settembre 1982 una A112 bianca esce dalla prefettura di Palermo. E’ sera. Alla guida della piccola auto si trova Emanuela Setti Carraro, moglie del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, che le è accanto, sul sedile passeggero. Alle loro spalle l’agente Domenico Russo li segue su un’Alfetta, come solitario angelo protettore.

I due coniugi hanno deciso di recarsi a cena a Mondello.

Non passa molto tempo dall’uscita dalla prefettura quando una moto, con dietro Pino Greco, affianca l’Alfetta su cui viaggia Domenico Russo esplodendo dei colpi che uccidono l’agente. Nel frattempo da una BMW si abbatte, su Carlo Alberto Dalla Chiesa e sulla moglie, una pioggia di fuoco che li ucciderà, colpendoli con trenta colpi. Distrutto il parabrezza dell’auto, i corpi riversi all’interno dell’abitacolo. Gli assassini inviati da Cosa Nostra hanno anche il tempo di controllare di aver ben compiuto il loro sporco lavoro.

La notizia raggiunge le case e la morte di Dalla Chiesa appare come la conclusione della vita di un uomo sulle cui, sicuramente forti, spalle si sono riversate speranze e progetti che, nel tempo, si sarebbero anche potuti realizzare ma non lasciandolo da solo, senza i mezzi e senza la libertà d’azione promessa al momento dell’incarico. Il Generale avrebbe dovuto avere dei poteri speciali per poter combattere il fenomeno mafioso, ma nei suoi cento giorni a Palermo, come Prefetto, non gli fu conferito nessun particolare potere.

Era un uomo preparato, che aveva combattuto con successo, negli anni antecedenti il suo ritorno su Palermo, contro il terrorismo riuscendo a decretarne la fine. Aveva capacità e onestà, credeva nella possibilità di sconfiggere, con la giusta fermezza, fenomeni anche radicati come quello mafioso. Probabilmente per questa sua incorruttibilità, per la sua irreprensibile condotta di vita, unite a sagacia e voglia di condurre la difficile guerra contro Cosa Nostra, ne fu decretata la morte. Era un uomo che dava fastidio e i capi mafia non sarebbero rimasti ad attendere i suoi interventi sul territorio. Non è comprensibile né accettabile il fatto che non fu adeguatamente supportata la sua presenza su un territorio in cui era anche in corso la seconda guerra di mafia.

Resta sospeso un interrogativo legato a quanto dichiarato da Buscetta che, riferendo un’affermazione di Gaetano Badalamenti, raccontava che, secondo il boss, Cosa Nostra a quel tempo non aveva ancora uno specifico interesse ad uccidere il prefetto Dalla Chiesa, da pochi mesi in Sicilia.

di Patrizia Vindigni

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