Salina Doc Fest, incontri e premi quali semi del 2025

Nel mese di settembre Salina si trasforma nell’Isola dei documentari, del cinema del reale, delle storie di luoghi ed esistenze che hanno i volti, le voci, gli sguardi non di attrici e attori dello schermo o del palcoscenico, ma di persone comuni. Comuni ma che ugualmente emergono come protagoniste di vicende impastate di dilemmi, sofferenze e qualità personali. Giovanna Taviani, Antonio Pezzuto, Paola Cassano e Ivelise Perniola hanno selezionato sei documentari tra i moltissimi visionati, offrendoli al giudizio del pubblico e di una giuria composta quest’anno dalla regista documentarista iraniana Firouzeh Khosrovani, da Occhipinti Andrea Occhipinti, della Distribuzione Lucky Red, e Kasia Smutniak, anche lei documentarista, attrice, ma non solo. Il pubblico alla fine di ogni visione esprime i suoi giudizi con un voto da uno a cinque, sulla scorta dei quali viene assegnato il Premio del Pubblico. La giuria, invece, deve valutare complessivamente tutti i film, confrontarli, soppesarli nello spirito del Fest e del tema scelto quest’anno: Libertà. Come essere liberi. Infine, accordarsi, convergere su un unico titolo per assegnare l’ambito Premio della Giuria.

Questo resta nucleo centrale su cui 18 anni fa è nato il Salina Doc Fest: far conoscere il documentario narrativo, per diffondere la coscienza della sua importanza civile nella vita pratica quotidiana e culturale della società. Non a caso la sua intestazione completa è Salina Doc Fest, Festival Internazionale del Documentario Narrativo. Accanto a esso, però, di edizione in edizione, sono cresciute altre preziose possibilità di incontro e confronto, anche per la crescente importanza e risonanza nazionale e internazionale riconosciuta al Fest per la qualità delle sue scelte. I due tragitti paralleli, ma intrecciati con il tema della libertà, sono Giovani, Libertà e Scuola Libera; e La libertà nel cinema di Paolo e Vittorio Taviani. Altre proiezioni, incontri e dibattiti sono avvenuti con Francesco Munzi e Sophie Chiarello per il loro rispettivi film Kripton, sul disagio mentale giovanile, e Il Cerchio, sulla scuola elementare. Entrambə sono statə premiatə per la loro opera. Di Munzi è stato proiettato anche Futura, il doc realizzato con Alice Rohrwacher e Pietro Marcello del 2021. Molti altri i confronti e i riconoscimenti con scrittrici, sceneggiatrici, documentariste sui temi del femminile nel cinema, nella società, nella Costituzione italiana. A causa delle condizioni sfavorevoli per giorni del mare, il festival è stato privato anche di altre importanti presenze, le quali hanno però inviato video dalle loro città. Ci riferiamo all’attore e sceneggiatore Claudio Bigagli, interprete di diversi film dei Taviani; a Kasia Smutniak, di cui abbiamo già parlato e della quale è stato proiettato il film documentario Mur; Paola Cortellesi, prima della proiezione del suo film C’è ancora domani, scritto con Furio Andreotti e Giulia Calenda, quest’ultima presente e premiata al Fest.

Questi i titoli e le sinossi dei tre film vincitori del concorso. Per gli altri titoli rimandiamo a un nostro precedente articolo.

La Canzone di Aida. L’autore Giovanni Princigalli torna dopo vent’anni nel campo nomadi di Bari, nel quale aveva filmato Aida, adolescente piena di slancio e speranze per il futuro. La trova adulta e madre con un matrimonio imposto che le crea continua sofferenza, nonostante la sua intatta fiducia nella vita. Entriamo nella vita di tutti i giorni del campo con le sue leggi patriarcali, ma anche di partecipazione diretta alla vita politica ed elettorale della città. Aida è davvero una protagonista caparbia della lotta per la libertà dal patriarcato, in un ambiente arcaicamente patriarcale. Il film rappresenta pienamente lo spirito originario del Fest e del tema scelto quest’anno. Vince il Premio Media Fenix al Miglior Montaggio.  

Vakhim. Il titolo corrisponde al nome del ragazzino cambogiano adottato dall’autrice del film Francesca Pirani. Presentato all’ultima Mostra di Venezia, narra del ritorno in Cambogia di Vakhim adulto e di sua sorella adottata da un’altra famiglia, in cerca della madre naturale introvabile. Un film che riempie gli occhi di emozione e di meraviglia, e nel quale la realtà diventa cinema e il cinema è direttamente la realtà. Vinche il Premio Signum, per il film più votato dal pubblico.

Bosco Grande. Il regista Giuseppe Schillaci da Parigi, dove attualmente vive, torna a Palermo, nel quartiere Bosco Grande, nel quale è nato e cresciuto. Qui faceva parte di un gruppo di ragazzi morsi dalla passione per la musica punk. Tra essi spiccava la figura di Sergio Spatola. A distanza di tanti anni Sergio fa tatuaggi in un garage abusivo della zona, ed ha assunto la dimensione di un super obeso di 250 chilogrammi. Tra ricoveri ospedalieri con provvisorio dimagrimento, ritorni a casa e rapide riprese ponderali, Sergione riflette sul senso della sua storia di imprigionamento in un corpo che viene mostrato nella sua abnorme nudità fisica e di spavaldo patimento. Un’ unica nostra considerazione, al di là del contenuto e della forma cinematografica su cui la scelta della giuria è insindacabile. Peccato che il film sia stato realizzato due anni dopo quello di Darren Aronofsky The Whale, con Brendan Fraser che vince l’Oscar al Migliore Attore. E anche se Sergione è autentico, mentre Fraser è aumentato, aggiustato da un trucco prostetico (Oscar anche questo), la situazione è già vista, già cinematograficamente attestata. Vince il Premio Palumbo Editore della Giuria per il Miglior Documentario.

In ogni caso preziosi semi sono stati gettati e già stanno germogliando floridi per la prossima edizione del 2025 e per tutto il cinema italiano e internazionale.

Riccardo Tavani