Il Salina Doc Fest e la terza barca dei Fratelli Taviani

Il Salina Doc Fest,  giunto al suo diciottesimo compleanno, insieme al nucleo centrale del concorso documentaristico, traccia altri due percorsi paralleli, tessuti da Giovanna Taviani e dal condirettore artistico Antonio Pezzuto. Quello della scuola e dei giovani, e un omaggio al cinema dei Fratelli Taviani. Quest’ultimo sentiero ora percorriamo, per l’importanza della pagina di cinema, coscienza e arte da loro indelebilmente segnata.

Il Fest, d’altronde, nel compimento della sua maggiore età, non poteva in nessun modo aggirare questo appuntamento dovuto, necessario e desiderato. Dalla loro casa in località Lingua, Vittorio e Paolo Taviani sono stati e rimangono numi tutelari dell’Isola di Salina. E lo sono tanto più del festival diretto dalla loro picciridda, ma oggi Capitana Giovanna Taviani. Ne costituivano, infatti, anche il Comitato Scientifico e d’Onore, insieme a Bruno Torri, Romano Luperini, Giorgio e Mario Palumbo. Cinque, quanti i giorni del Fest, i titoli dei loro capolavori fatti conoscere per chi non li aveva visti, e riconoscere, per chi li aveva già visti e vissuti. Sì, perché il cinema dei Taviani non può che essere insieme visto e vissuto. E l’assonanza è precipuamente linguistico-semantica, di pregno senso filosofico. Questi i cinque titoli in ordine di proiezione: San Michele aveva un Gallo 1972, Kaos 1984, La notte di San Lorenzo 1982, Padre Padrone 1977, Cesare deve morire 2012.

Dopo la chiusura della grande stagione del neorealismo, e la fine di quella degli anni ’60 dei primi Fellini, Antonioni, Pasolini, il cinema dei Fratelli Taviani sorprende e avvince soprattutto i giovani degli anni ’70 per una sorta di neo ancestralismo, di essenzialità  della scena e della narrazione. Giovanna Taviani ha spiegato che molte volte questo era dovuto alla scarsezza di finanziamenti contro la quale i due autori si sono sempre trovati a combattere. Ma è proprio questo ribaltare le ristrettezze imposte dall’esterno in stile interiore e spinta di libertà una cifra dell’autentica opera d’arte. Sotto quello spoglio ancestralismo, inoltre, c’è una radice originaria del divino e dell’umano, ossia dell’esistenza, di ogni forma di esistenza nella sua connotazione universale. Essa permane viva nella mutevolezza del divenire storico. Vittorio e Paolo Taviani proprio del diradare fino all’essenziale l’immagine del passato permettono a tale origine di trasparire dentro la composizione e le movenze iconografiche, le inquadrature, i movimenti della macchina da presa, il montaggio della loro scena. In questo testimoniano anche un risultato di giustizia, non esteriore, concettuale, meramente affidato ai dialoghi o alla voce narrante fuori campo. No, il comporre dentro il nudo apparire filmico gli elementi contrastanti, contraddittori, esplosivi dell’umano sono testimonianza di giustizia esistenziale in sé, inseparabilmente intima all’atto e alla coscienza d’arte. In questa interiorità è anche l’attualità dei loro film. Proprio perché questa giustizia non indica ricomposizione, possibilità di riscatto, tanto meno lieto fine, comunque mascherato, della vicenda messa in scena. Essa, però, non può che continuare nel buio del dramma, della tragedia a testimoniareluce, nel loro caso quella del cinema, come suo elemento primo.

Nella parte finale di San Michele aveva un gallo, film tratto da un racconto di Tolstoj, appaiono due barche con condannati e gendarmi che scorrono parallele in un delta fluviale verso una galera prossima alle sponde. In una barca l’anarchico Giulio Manieri, già a lungo segregato da solo in una cella angusta; dall’altra un gruppo di giovani rivoluzionari, appena arrestati. È la dualità irriducibile non solo tra febbrile spinta libertaria e razionale scientifica di impronta marxiana della lotta, ma anche tra due visioni, coscienze, percezioni del senso della vita e dell’agire. Giovanna Taviani nelle introduzioni e dibattiti su questi film ha testimoniato quello che suo padre Vittorio le ripeteva sempre: “Ci vorrebbe una terza barca”. Nel frattempo, però, di quella terza barca lui e il fratello Paolo stavano tracciando le linee rette, le curvature, le vele, presagendo persino le brezze di libertà. Riapprodare al loro cinema torna a riempirci i polmoni di quel respiro.

Riccardo Tavani