Un ciclope innamorato spalanca lo schermo del Salina Doc Fest
Punta Megna, nel comune di Leni, subito sopra la spiaggia di Rinella nell’Isola di Salina. Ci si arriva saliscendendo una serie di gradini in pietra e percorrendo un agile sentiero tra la macchia mediterranea. Si giunge a un piccolo anfiteatro a gradoni di forma greca che scende fino a uno radura con uno scheletro di terrazza all’eoliana – con muretto e colonne bianche – che funge da spazio scenico. La quinta teatrale il mare. In cielo, da una parte una mezza luna crescente, dall’altra, il sole che scende al tramonto, nascondendosi e riapparendo tra le nuvole sopra l’Isola di Panarea, distante appena un braccio di sguardo.
Il Polifemo innamorato entra in questo spazio con in spalla un bastone pastorale che sorregge due grandi bisacce nere. A interpretarlo è Giovanni Calcagno di Paternò, attore, regista, cuntista, e in questo ruolo uno protagonisti del film di Giovanna Taviani, Cùntami. Nel greco antico di Teocrito, siracusano del 300 a. C., inizia l’elevazione idilliaca, la tempestosa invettiva del suo cunto. Lingua che poi trasmuta in quella italiana, veneta, napoletana, sicula. La persona verso cui eleva amore e rovescia rabbia è la lattea ninfa Galatea. La incontra, non ha il tempo di rimanerne inestricabilmente incatenato d’amore, che lei conosce il giovane Aci e più non l’abbandona. Polifemo stacca un intero tocco dd’a Muntagna, e lo scaglia addosso all’usurpatore d’incanti Aci, facendolo precipitare fino al mare giù dall’Etna, dove la lava e meno incandescente della tragicità umana. Galatea tramuta il rivolo di sangue dell’amato in ruscello d’acqua pura.
Giovanni Calcagno è accompagnato dalle musiche, dalla tamorra e dal canto Puccio Castrogiovanni. A volte, soprattutto quando Polifemo è volto di spalle verso il mare – non si distingue se sia la voce dell’uno e dell’altro alle rocce e lassù alle nuvole di basalto.
Dalla prima delle due bisacce lasciate in terra, il Ciclope estrae una marionetta corporale. Si tratta di una testa in stoffa, di uomo o di donna, da cui pende un abito lungo fino ai piedi dell’attore. Questi se la mette letteralmente addosso, davanti a sé, a coprigli la faccia e mettendo in comune i suoi piedi. È Galatea. I movimenti, la danza dei corpi e delle parole si fanno biunivocamente interne l’uno all’altro, penetrano e tessono la pelle, i sentimenti, i pensieri d’amore e di rifiuto l’uno dell’altro. Rideposta nella prima bisaccia Galatea, Polifemo estrae Aci e la repulsione-compenetrazione con il suo rivale sembra scendere davvero nelle viscere magmatiche dell’Etna . La maestria di Calcagno di testo danzato, di danza vocale, di urti d’umore e d’amore vorticanti, flebilmente sussurrati e sguaiatamente sgranati nella gola. Chi è la davanti a lui non può che sentirsi afferrato per i piedi e condotto oltre il tempo dentro un semicerchio teatrale greco nella comunanza di un’energia esistenziale originaria, che non è sepolta nella notte dei tempi, ma resta viva e sempre pronta a riaffiorare da sotto i pori della nostra pelle.
E a questa energia poetico-esistenziale che l’opera teatrale di Giovanni Calcagno tenta di attingere attraverso cerchi concentrici sempre più larghi per comprendervi dentro gli spalti semicircolari su cui siamo seduti durante la sua rappresentazione-testimonianza di quell’originario. Sono diversi e da diversi anni ormai che molti registi di cinema offrono ruoli a Giovanni Calcagno, riconoscendogli tale spinta. Da Mario Martone, a Marco Bellocchio, Pasquale Scimeca, Manetti Bros, Ficarra e Picone, Matteo Garrone. Non ultimo Vincenzo Pirrotta, altro cuntista, attore, regista teatrale e cinematografico, con il quale ha stabilito un vero sodalizio. Lunga e qui non riassumibile anche la lista dei lavori televisivi. Il teatro, però, sembra restare territorio privilegiato, per non dire vera e propria patria, madrelingua originaria di ricerca.
Il Salina Doc Fest ha voluto iniziare con questo riconoscimento a Giovanni Calcagno, riconoscimento che è anche un reciproco pattod’energia sotto il cielo, il mare, la drammatica, poetica terra di Sicilia.
Riccardo Tavani