Invelle

Il titolo è un’espressione dialettale della zona delle Marche nella quale è nato e cresciuto il regista Simone Massi. Un’espressione ormai in disuso che l’autore ha voluto far riemergere, proprio per la sua forza sintetico-poetica. Ha alla base il termine ‘volontà’, espresso nella forma contratta ‘velle’, dove voglio. Era usata per intendere vado dove voglio, dovunque mi conduce la volontà. “Esci? Dove vai?”. “Non lo so. Vado Invelle, da tutte le parti, da nessuna parte di preciso”. E questo è il senso finale che ha poi via via assunto: da nessuna parte, in nessun luogo.

È un film d’animazione, una graphic novel, un racconto basato sul segno grafico, e non su riprese di attori e luoghi reali. E anche un racconto di Storia con l’iniziale maiuscola. È quella dell’Italia dall’avvento del fascismo ai giorni del rapimento e dell’assassinio di Aldo Moro. La nostra Storia vista, però, dallo sguardo particolare della cultura contadina, da cui il regista proviene e ancora permane. Il segno grafico che intesse la narrazione è notevole, prezioso. In esso è stratificato, disseminato  il contenuto di verità del film. Si fonda su una tecnica di righettatura, reticolatura di ogni tipo di superficie. I volti, le mani, i corpi, i vestiti, le suppellettili, i tavoli, le pareti delle case dei contadini. E fuori gli animali, le piante, la terra, le montagne, il cielo il mare. Una tecnica che è l’espressione grafica della visione che Simone Massi ha avuto fin da bambino dei contadini. Le mani spaccate dal lavoro, la pelle screpolata dal sole e dal gelo, i volti rugosi, scavati dalla fatica e dalla sofferenza. Questo provenire del segno grafico di Simone dalla cultura contadina rimanda a qualcosa di ancora più arcaico, ossia dalle pitture rupestri all’origine stessa della nostra civiltà. Nel 2010 Werner Herzog realizza un documentario dal titolo The Cave of Forgotten Dreams, La Caverna dei Sogni Dimenticati. Lo gira dentro una caverna sorprendente, La Grotta Chauvet, nell’Ardéche, in Francia. Scoperta da non molti anni prima, conserva delle pitture rupestri di una bellezza e di un freschezza che mozzano il fiato. Ritraggono per lo più molti tipi di animali dell’epoca. Sottoposte a tutti i tipi di esami spettrografici più avanzati, le pitture ci portano indietro di 32.000 anni. Herzog sostiene anche una tesi molto audace, ma per niente inverosimile. Esse costituiscono l’origine arcaica del cinema. L’impronta di una cui mano con il dito mignolo mutilato che appare in più punti della caverna, ci dice che si tratta di un autore unico. Con il fuoco di una torcia passava davanti e illuminava una alla volta, in tutta la loro successione sulle pareti, le pitture, facendole apparire come in movimento nel buio dell’ambiente, così come a noi appaiono fotogrammi e frame nel buio di una sala cinematografica.

Il film di Simone Massi si avvale di molte voci del cinema italiano, da Luigi Lo Cascio, Toni Servillo, Ascanio Celestini, Filippo Timi, di Mimmo Cuticchio, marionettista siciliano e cuntista, e anche della folksinger Giovanna Marini, che però e recentemente scomparsa. Simone Massi ha radunato nella sua casa nelle Marche una trentina di disegnatori, tra senior e junior. Con i primi aveva già lavorato alle tavole del film La strada dei Saumoni, un graphic del 2018. Con secondi ha proceduto a un’opera di preparazione e sintonizzazione con il tratto grafico di tutto il collettivo di inchiostri e matite. Insieme hanno prodotto quarantamila fotogrammi, disegnati, intarsiati uno per uno a mano. Di qui la forza suadente, avvolgente del film.

Tornando ancora al titolo Invelle, scaturisce per me una riflessione necessaria. La volontà coincide in ogni persona con il proprio Io, nell’atto stesso di dire e pensare la paroletta ‘io’, riferendosi a sé stessi. Non si dà volontà senza Io, e viceversa. ‘Invelle’ ci dice dunque che questo ‘io’ da noi detto e pensato permane dappertutto e da nessuna parte del tempo.

Riccardo Tavani