Campo di battaglia

Gianni Amelio ci fa sensibilmente, profondamente sentire che il vero campo di battaglia in una guerra non è solo quello dove si ammazzano uomini tra loro con fucili, mitragliatrici, cannoni, carrarmati, bombe, aerei. Meritoriamente, infatti, non c’è nessuna scena di questo tipo. Forse anche perché le condizioni economico-produttive del sistema cinema italiano non consentono budget alla 1917, il capolavoro del genere bellico di Sam Mendez (2019). Proprio delle ristrettezze, però, occorre fare arte. Vediamo, infatti, le conseguenze di quegli scontri. Li vediamo in quelle atroci trincee, veri e propri gironi infernali, che sono le corsie degli ospedali da campo con i feriti e i più che mezzo ammazzati. Rimessi in piedi alla male in peggio solo per essere rispediti quanto prima al fronte per farsi dilaniare del tutto. Con in più una pagina storica d’estrema attualità, nonostante risalga al quel 1918 della Prima Guerra Mondiale nella quale il film è ambientato. Un film, dunque, anche per il femminile, che solitamente, statisticamente  non ama questo genere cinematografico. Con un vertiginoso Alessandro Borghi, in un’interpretazione essenziale, sintetica, che gli si sprigiona da sotto la pelle e nello sguardo. Inedita e sorprendente anche l’interpretazione di Federica Rosellini, tanto per tornare al senso anti bellico del femminile che pervade tutto il film. Può anche andare contraddetta una qualche aspettativa di carattere maggiormente emotivo. Potrebbe, però, trattarsi di un’aspettativa forse scontata, da cliché delle situazioni drammatico-sentimentali-esistenziali. La scelta che ci offre il film ci appare invece più giusta. Intendiamo la scelta di Amelio di non eroicizzare, ma proprio in nessun modo, il protagonista. Questo perché l’eroismo anche se diminuito, indiretto, già di per sé avrebbe riverberato una qualche retorica luce di possibile riscatto per qualcosa che — come la guerra — non può più averlo. In questo è rispettato profondamente l’intento di non essere un film di guerra, ma sulla guerra. E in questo va apprezzato nella una sua giusta misura.

Riccardo Tavani