Cine-pillole del coprifuoco di fine d’anno

L’incredibile storia dell’Isola delle Rose. Da vedere per storia e garbo. Elio Germano ci dona un’altra preziosa quanto garbata prova d’attore. Lo fa interpretando il giovane ingegnere bolognese Giorgio Rosa che il primo maggio 1968 proclama la stato indipendente dell’Isola delle Rose. Si tratta di una piattaforma che lui costruisce in acque extraterritoriali a largo di Rimini. Lo fa con l’aiuto e i soldi di un altro neo ing, Maurizio Orlandini. Quest’ultimo è interpretato da Leonardo Lidi, con altrettanto gustoso garbo dialettale bolognese, nella schietta goffaggine che lo caratterizza. Accanto a loro una convincente Matilde De Angelis nel ruolo di Gabriella, la fidanzata di Giorgio. Nel cast anche Luca Zingaretti, Fabrizio Bentivoglio, François Cluzet, e Tom Wlaschiha. I due italiani nei panni di due politici italiani al vertice dello Stato; il francese, come commissario europeo, il tedesco quale ex nazista disertore, approdato alla repubblica del ballo e dello sballo della riviera romagnola. Il regista Sidney Sibilia fa meritoriamente riemergere dal fondo dell’Adriatico questa storia misconosciuta vera che ben rappresenta lo slancio ideale e l’apertura al futuro dei giovani di quegli anni. Ne avevano già parlato nel 2009 due registi Busilli e Naccari, con un documentario, che ora si trova in rete dal titolo di Insulo de la Rozoj, in esperanto, la lingua ufficiale adottata da quegli affondati padri fondatori. Anche Walter Veltroni ne aveva tratto un libro nel 2013 e di questo film è consulente storico. Su Netflix.

The midnight sky. Da vedere genere spaziale e post catastrofe planetaria. Tre storie che s’intrecciano tra lo spazio astrale, i ghiacci artici e memorie d’utopia e colpa. Ambientazione e scenografia altrettanto tripartita: nave spaziale, osservatorio in Groenlandia, passato che riemerge dalle Canarie. Un vecchio astrofisico cerca di entrare in contatto con una missione spaziale in rientro sulla Terra per avvertirla della catastrofe avvenuta. Che in questo tipo di film non si sa mai da cosa sia esattamente, ma neanche approssimativamente dipesa. George Clooney regista e interprete. Meglio come attore che direttore. La sua recitazione, infatti, contribuisce molto all’atmosfera struggente del film. Non perché il film non abbia una sapiente regia, anzi! Solo che non stacca molto dagli ingredienti e dagli espedienti di questo genere cinematografico, e gli effetti speciali o l’assenza di gravità sono possibili grazie da enti e laboratori realmente esistenti. Solo l’ambientazione all’interno dell’astronave e dell’osservatorio astronomico costituiscono una indubbia novità visiva. Ma è un merito più dell’avanzamento tecnico del cinema che artistico. Buoni colpi di suspense, che vanno indubbiamente a segno, nonostante siano pure essi ampliamente collaudati. Ma la speranza di una post catastrofica nuova vita, non tanto per i personaggi del film, quanto per noi, è più su una delle lune di Giove o sulla vecchia, scassata e cara Terra? In piena pandemia non è una domanda banale. Su Netflix. 

Natale in casa Cupiello. Dal teatro al cinema non sempre è possibile. Tratto dall’omonima acclamata pièce del 1962 di Eduardo De Filippo. Nella Napoli del 1950, la famiglia Cupiello si prepara a festeggiare il Natale. Lucariello, il capofamiglia, ci tiene molto a fare il suo presepe, anche perché è in gara con un altro inquilino del palazzo. A sua moglie Concetta, però, gliene importa proprio poco di quel presepio, mentre il figlio scansafatiche Tommasiello lo detesta del tutto. Ninuccia, la figlia maritata bene, poi è in convulsione drammatica con tutt’altri problemi. E tra una facezia, una quisquiglia della consunta routine di tutti i giorni, proprio il dramma s’addensa attorno alla cena della vigilia. Edoardo De Angelis è una delle sorprese anni del nostro cinema, segnato dalla scuola partenopea degli ultimi anni. In questo film tv, però, non riesce a mettere bene a fuoco il bersaglio che un’opera teatrale di sessant’anni fa deve colpire oggi. Cosa invece riuscita a Mario Martone con il film Il sindaco del rione Sanità, sempre tratta da una pièce teatrale eduardiana del 1960. A cominciare proprio dagli attori, tutti perfettamente azzeccati da Martone, proprio per la loro fisicità somatico-recitativa attualizzante. E agendo più su questa che sul testo teatrale originale per attualizzare la Napoli di oggi nell’Italia di oggi. De Angelis, invece, mette in scena maschere, pur brave, ma completamente fuori sintonia. Non si tratta neanche della scelta del protagonista Sergio Castellitto e non si tratta neanche del confronto (improponibile) con Eduardo. Certo, Castellitto imita, pure bene, ma non parla il napoletano, nel senso del perdersi dell’eco esistenziale che sale e traspare dalla sonorità ineffabile della lingua originale. No, è proprio tutto l’insieme che non si orchestra alla grande. Forse è la TV che non riesce a fare bene né il cinema, né il teatro, ma omologa tutto a sé stessa. Su Raiplay.

Vitalina Varela. Imperdibile per cinephile. La protagonista del titolo sbarca da Capoverde a Lisbona dove Joaquim, il marito che non vede da quarant’anni, è morto. Non lo vede neanche ora, perché quando arriva nella squallida periferia in cui viveva è già stato sepolto. Le consigliano di tornarsene indietro, ma lei rimane, alloggiando nella buia catapecchia del defunto. Insieme a un amico di Joaquim e a uno spento prete della locale comunità capoverdiana, cerca di elaborare il lutto, riandando a tutta la sua disgraziata vicenda con quel marito fedifrago. Il regista, Pedro Costa, è l’angelo cantore di queste comunità immigrate che vivono nell’emarginazione più nera tra gli squallidi insediamenti satelliti di Lisbona. Ne ha fatto una sua ragione di vita e di stile cinematografico. Una vera cifra esistenziale e artistica. Le sue sono sempre inquadrature fisse, a volte anche immobili, dei veri e propri quadri fotografici, con forti contrasti di luci e ombre. Le parole scarne, i dialoghi quasi confessioni, svelamenti a voce bassa. Attrici e attori non sono altri che abitanti di quei purgatori urbani che ricorrono o si rinnovano nei diversi film dell’autore. Così che Vitalina Varela è davvero il nome della la donna reale che interpreta il suo personaggio, come era già avvenuto in un precedente film del 2014, Cavallo Denaro. In questo film le forme dei personaggi sono sculture che la luce scava dall’oscurità che permea ogni ambiente interno ed esterno. Un buio originario, come svela l’apologo finale del disperato prete sul bacio di Giuda a Cristo. La guancia non toccata divenne radiosa, dando luce a una parte del mondo. L’altra si fece via via più scura, fino a una notte immensa, per custodire l’orrore. È quella l’ombra di cui noi siamo stati fatti. Sui Raiplay. 

All day and a night. L’inesorabile intrigo criminale del destino nei ghetti neri d’Amarica. La vita di Jahkor, giovane nero di Oakland, in tre piani esistenziali-temporali intrecciati. La sua infanzia con padre eroinomane e violento. La sua giovinezza sul filo dell’equilibrista nell’illegalità, mentre la sua ragazza aspetta un figlio. La sua detenzione all’ergastolo per duplice omicidio nella stessa galera dove sta marcendo suo padre, anche lui ergastolano. Lo svolgimento è davvero un po’ intricato, ma la tesi alla fine abbastanza esplicita. Il destino dei tanti Jahkor nei quartieri neri è segnato fin dalla nascita. L’oppressione razzista è solo dietro, come sfondo ambientale incombente. Essa ha insegnato ai neri come sopravvivere, non come veramente vivere. Ci si può sottrarre a questo destino? Due lunghi piani sequenza, uno all’inizio, uno a metà film sembrano indicare entrambe le possibilità. Il primo è quello che ci scarrella al duplice omicidio consumato inspiegabilmente dal protagonista. Il secondo quando lo stesso Jahkor pedala forsennatamente per le strade della città e gli si affianca per un lungo tratto uno stuolo di ragazzini neri sempre in bicicletta. La deviazione che Jahkor a un certo punto imprime alla sua corsa, è una deviazione sì dall’innocenza dell’infanzia, ma quel gruppo, invece, continuerà a pedalare insieme per le vie di Oakland. Ed è come se in quello stesso stormo, proiettato verso il futuro, stesse pedalando una nuova vita, quella del figlio in arrivo. Condannato anche lui come suo padre e suo nonno? Jahkor avrà tutto il giorno e la notte della galera per pensarci e decidere. Su Netflix.

di Riccardo Tavani