Doppio standard

Noi che abbiamo conosciuto la guerra “umanitaria”, non ci sorprendiamo che l’invasione dell’Ucraina venga propagandata, sul fronte russo, come una “operazione speciale”.

Non ci stupisce neppure il sostegno dell’informazione embedded, seppur da salotto, alla grande coalizione internazionale che si è costituita contro l’aggressione all’autodeterminazione e alla libertà del popolo ucraino.

Quello che disturba, anche se sappiamo quanto spesso il significato delle parole venga sacrificato agli interessi superiori, è la lotta ingaggiata dai propagandisti da talk show contro i maldestri tentativi di chi tenta di confondere le responsabilità tra occupanti e occupati.

Una vera caccia alle streghe che va oltre il sacrosanto ristabilimento della verità e che sfiora il ridicolo perché conosciamo questi “difensori della verità”.

Sappiamo che i novelli paladini degli oppressi adottano, da decenni, standard di giudizio assai diversi e che quando pontificano su altre aree del mondo non fanno altro che alimentare la confusione dei ruoli tra occupante e occupato.

Confusione e ribaltamento che raggiungono l’apice nel caso della lotta di liberazione del popolo palestinese contro l’occupazione israeliana con il suo carico di oppressione, uccisioni, discriminazione razziale e sfollamento.

Detto questo, non è certo colpa degli araldi con l’elmetto se la risposta della comunità internazionale all’invasione russa dell’Ucraina è così diversa da quella data all’occupazione della Palestina.

Dopo un lungo sonno, il diritto internazionale è tornato ad affermare che un territorio non può essere preso con la forza. Immediatamente è stata promossa una risoluzione di condanna al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite. Benché, come era prevedibile, la risoluzione si sia scontrata con il diritto di veto russo essa ha avuto il merito, come sottolineato dalla diplomazia statunitense, di mettere in evidenza l’isolamento internazionale dell’aggressore. Peccato che anche gli Stati Uniti abbiano, per ben 40 volte, posto un veto solitario alle risoluzioni che condannavano le violazioni israeliane del diritto internazionale e gli abusi contro i palestinesi.

Ancora, e giustamente, l’invasione dell’Ucraina ha spinto diversi Paesi a rivolgersi alla Corte penale internazionale contro la Russia. Qualcuno ricorda, però, che il Pubblico Ministero di quella stessa Corte è stato sottoposto a sanzioni dagli Stati Uniti per aver indagato sui crimini di guerra commessi in Palestina?

Contro l’occupazione russa in Ucraina, gli Stati Uniti e i loro partners hanno imposto “misure economiche restrittive”. Nel giro di poche settimane sono partite anche iniziative di boicottaggio e disinvestimento. Imprese e catene commerciali hanno lasciato la Russia e ritirato i suoi prodotti dai loro scaffali. Il gigante euroasiatico è stato anche sospeso dai campionati di calcio internazionali ed espulso dall’Eurovision.

Tutte azioni contro l’occupazione che appaiono doverose e non controverse ma che gli stessi Paesi che le hanno imposte si sono sempre rifiutati di usarle, considerandole sbagliate, per colpire le responsabilità israeliane e le sue violazioni del diritto internazionale.

L’applicazione del doppio standard non si limita alle azioni non violente. In Ucraina la resistenza armata è sostenuta con l’invio di armi e con l’esaltazione del coraggio dimostrato nei combattimenti. Quando gli Ucraini lanciano bombe molotov contro l’esercito russo vengono esaltati come combattenti per la libertà. Quando i palestinesi fanno la stessa cosa sono considerati dei terroristi.

È indispensabile porre fine a questo doppio standard se non vogliamo scavare la tomba del diritto internazionale.

Le azioni contro l’invasione russa dimostrano che la comunità internazionale, se vuole, è in grado di intervenire contro la violazione dei diritti umani e delle leggi. Ma se quelle stesse azioni non vengono messe in campo quando gli oppressori sono nostri alleati, o quando le vittime non ci assomigliano, il diritto internazionale diventa solo uno ulteriore strumento di potere.

Sarebbe bene che un’informazione libera fosse qui a ricordarcelo.