Una sfiducia a orologeria

Eccoci, infine, alla caduta del governo ed alle elezioni anticipate.

Fin qui nulla di strano: dal 1948 ad oggi solo poche legislature sono durate i canonici 5 anni e, quanto a governi, ne abbiamo avuti da 2 a 6 per legislatura, comprese quelle più brevi. Evidentemente la stabilità non è proprio nel DNA dei nostri partiti né dei nostri rappresentanti, quelli che noi poveri illusi deleghiamo a fare i nostri interessi nel Parlamento, pagandoli profumatamente.

Sebbene gli attuali eventi politici rientrino nelle tipologie più abituali, può esser utile andare a curiosare nella tempistica, nelle modalità della crisi e nel lessico di questa politica nostrana. È in questi risvolti che si scoprono cose interessanti e rivelatrici.

Se, come si diceva, molte legislature hanno avuto vita breve, questa è l’unica ad essere durata proprio 4 anni, 6 mesi e qualche giorno (dal 23 marzo 2018 al 25 settembre 2022): quello che consente di arrivare pelo pelo a maturare il “vitalizio”. Avessero fatto la crisi di governo una settimana prima, avrebbero seriamente rischiato di perderlo.

Non lo dico per fare il moralista. In fondo, anche i nostri delegati tengono famiglia o comunque appetito. Lo dico perché, se hanno così tempestivamente approfittato della prima scadenza utile a far cadere il governo senza rimetterci, è chiaro che erano pronti da tempo, e che tutti gli attestati di fiducia erano mera fuffa, la solita ipocrisia. Era tutto programmato, magari anche concordato tra i tre leader siluratori.

Egualmente interessante è il fatto, questo davvero senza precedenti, che nessuno abbia voluto rivendicare il merito della caduta del governo. Ma come? se nego la fiducia a un governo, è perché penso che non la meriti, che sia inadeguato, o almeno non più adeguato alle attuali necessità. Per questo mi prendo la responsabilità – e il merito – di farlo cadere.

Invece no. Ciascuno dà la colpa a un altro, nessuno se ne attribuisce il merito. È un po’ come se dicessero: il governo andava benissimo, non è colpa mia se gli altri lo hanno fatto cadere. E questo dopo avergli negato la fiducia con un voto (o un vuoto) parlamentare.

Forse, secondo un antico costume, ciascuno ha agito a propria insaputa. Confesso che non credevo possibile una così alta vetta di involontaria comicità.

O forse, a parte gli scherzi, non rivendicano il merito di questa crisi, perché in fondo se ne vergognano. E con ragione.

Ma non è stata questa l’unica gag. I due leader massimi della destra al governo, di fronte alla chiara richiesta di Draghi di ricostruire integralmente la precedente maggioranza, hanno risposto: va bene, sì, integralmente… ma senza i 5Stelle. Sordità? Mi hanno ricordato la vecchia barzelletta: vorrei un caffè e un cornetto; non ci sono i cornetti? beh allora mi porti un cappuccino e un cornetto! Anche Renzi ha dato la stessa risposta, salvo poi votare comunque la fiducia. Un altro classico: lanciare il sasso e nascondere la mano.

Altro fatto che meriterà studi attenti e approfonditi da parte degli storici del futuro (crisi climatica permettendo), è la lungimiranza politica di Conte. Esigeva, con tono ultimativo, che il governo accogliesse i suoi famosi 9 punti. Sorvoliamo sul fatto che è difficile esigere quando si fa parte di una coalizione così eterogenea. Magari una persona normale avrebbe cercato di mediare per ottenere l’attuazione di quelli più importanti, alcuni dei quali, d’altronde, erano stati già fatti propri dal governo. Vogliamo dire che è stato un po’ eccessivo? Ma non si è reso conto che il modo migliore per dover rinunciare – e per sempre – a tutti e nove i punti era proprio far cadere il governo? E, comunque vadano le elezioni, quando mai gli ricapiterà di stare in un governo il cui autorevole capo si dimette piuttosto che rinunciare alla sua collaborazione? Certo è che la prossima probabile maggioranza di destra, cui ha anticipatamente spianato la strada, avrà tutt’altro programma. E infine, perché tanta fretta di anticipare quella che si profila come una brutta batosta elettorale? Temo che la scelta autolesionista dei 5Stelle dovrà essere oggetto di approfonditi studi anche sotto il profilo psichiatrico.

C’è poi il problema del termovalorizzatore di Roma. E già, alla fin fine il governo è caduto anche perché il PD, secondo Conte, ha introdotto nel “decreto aiuti” il termovalorizzatore di Roma. Come se la “monnezza” fosse un problema del PD e non di tutti i cittadini.

Un certo ecologismo rifiuta aprioristicamente questi strumenti, che sono in uso in città molto meno inquinate della nostra capitale, senza chiedersi se davvero peggiorino, o piuttosto non migliorino l’ambienti rispetto all’attuale sistema di smaltimento dei rifiuti. Quanta CO2 e quanto particolato sono prodotti dall’attuale tipologia di gestione dell’immondizia a Roma? Non possiamo infatti dimenticare che l’immondizia romana viene esportata (a centinaia di migliaia di tonnellate e per centinaia di migliaia di chilometri totali) in altre province (Latina, Frosinone e Viterbo), in altre regioni (Lombardia, Friuli, Emilia Romagna, Toscana, Puglia) ed anche all’estero (Austria). E il trasporto produce CO2 e particolato: inquina, oltre a pesare sulle nostre tasche. Nonostante questo inquinante sforzo, un’ampia fetta di immondizia resta a Roma in grandi discariche che ogni tanto prendono fuoco producendo CO2, diossina e altri veleni ma, anche quando non bruciano, esalano miasmi per nulla gradevoli e sani, per non parlare del rischio di inquinamento delle falde da percolato. Ma non è meno inquinante un termovalorizzatore? Migliaia di città in tutto il mondo, e qualcuna in Italia, hanno risposto di sì. Compresa Parma, governata all’epoca della sua installazione da un sindaco pentastellato. L’idea di trasformare gli scarti in risorse, con un impatto ambientale tutto sommato inferiore, a quanto pare è intollerabile per questi pseudo ecologisti de noantri che non sanno fare un raffronto ragionato tra l’impatto di un sistema e quello di un altro. E se è del tutto opinabile che un termovalorizzatore sia più dannoso all’ambiente, farne un caso di principio in nome dell’ecologismo mi sembra particolarmente stupido.

Per tornare, infine, alla tempistica di questa crisi, è bene rammentare che la legislatura sarebbe comunque finita, fisiologicamente e indifferibilmente, entro sette-otto mesi. Se è chiaro il motivo per il quale non è stata affossata prima, resta ancora senza risposta la domanda: ma non potevano aspettare un po’? qual è il vantaggio, e per chi, di una così modesta anticipazione di un termine ormai certo e vicino? Perché non far giungere il governo, di cui si è parte integrante e irrinunciabile, al suo imminente termine naturale?

Qui la risposta si fa più difficile e complessa.

I sondaggi ci mostrano da mesi un Fratelli d’Italia in ascesa e una coalizione di destra nettamente favorita alle prossime elezioni. Che cosa può cambiare per loro in questi mesi? Perché tanta smania?

In fondo, qualche mese in più di governo Draghi avrebbero dato qualche vantaggio ai suoi successori, come ad esempio trovarsi nelle mani un maggior avanzamento nell’attuazione del PNRR, un decreto aiuti del valore di 10 miliardi già attuato, il bilancio dello Stato già messo in sicurezza, uno spread più basso di almeno trenta punti, una migliore immagine internazionale del Paese. Lasciare in piedi questo governo, avrebbe dato più tranquillità ai suoi successori e, oltretutto, qualche vantaggio in più agli italiani: cosa che, per esempio, dovrebbe piacere a un partito che si autodefinisce patriottico.

La destra ha inopinatamente deciso di rinunciare a questi vantaggi: è solo fretta di accaparrarsi potere e poltrone, o c’è qualche vantaggio inconfessato nell’anticipare i tempi?

Non so se il più frettoloso sia stato Berlusconi (governista fino al giorno prima), Salvini o la Meloni, o tutti e tre alla pari, ma sono tutti e tre troppo smaliziati per non aver fatto lo stesso conto che ho fatto io. Possiamo pensare al timore di un recupero degli altri partiti? a qualche prospettiva nuova sul piano internazionale? a qualche grana in arrivo per i suddetti leader, relativa ai loro diversi scheletri nell’armadio?

C’è anche chi ipotizza una spintarella da parte dell’amico Vladimir, che non sarebbe poi così assurdo, visti i precedenti di ingerenza occulta nelle campagne elettorali e referendarie di altri Paesi. Certo ora non è dato saperlo, ma quest’ansia di andare al voto subito, costi quel che costi, sfiduciando sé stessi, mi sembra abbastanza sospetta.

Intanto, restando in attesa dei nuovi simboli, delle nuove alleanze, di nuove promesse irrealizzabili e della solita disinformazione elettorale, l’Italia sentitamente ringrazia.

di Cesare Pirozzi 

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