Attilio Manca: suicidio di servizi e mafia
Attilio Manca, medico-urologo presso l’ospedale di Viterbo fu trovato morto nella sua stanza l’11 febbraio 2004, le indagini registrarono la morte come suicidio. Ma da subito le cose non quadrarono. Niente era come sembrava. Una morte strana, per noi: suicidio di mafia. Così per i familiari, per la madre Angela, che cerca la verità da troppi anni. Non si arrende il cuore di una madre che si è vista sottrarre il figlio in quello che si è considerato un suicidio, ignorando la strana realtà di ecchimosi sul corpo, sul viso, senza notare l’incongruenza di una siringa, contenente droga, usata sul braccio sinistro quando Attilio, il figlio di Angela Manca, era sicuramente mancino. Quando poi Carmelo D’Amico, un nuovo collaboratore di giustizia, boss del barcellonese, con le sue parole rimette tutto in discussione avvalorando la tesi che Attilio Manca, medico urologo particolarmente bravo, sia stato ucciso dai servizi segreti deviati perché avrebbe potuto riconoscere Bernardo Provenzano in Gaspare Troia, l’uomo che gli era stato chiesto di operare, ecco che diventa impossibile negare alla speranza di comprendere e alla voglia di stabilire la verità, di farsi nuovamente vive e vitali.
Angela Manca, una donna piccola e minuta, non si è mai arresa. Le anomale condizioni della morte di Attilio le hanno reso impossibile pensare che suo figlio, un uomo dalla brillante carriera, bravissimo nel suo lavoro, bello,intelligente, possa aver scelto di porre fine alla sua vita, per errore o volutamente, con un miscuglio letale di farmaci e eroina.
Attilio Manca non aveva nessuna ragione per porre fine alla sua vita.
Carmelo D’amico ha anche indicato in Rosario Pio Cattafi, un uomo ritenuto da alcuni una figura di secondo piano nella realtà mafiosa di Barcellona Pozzo di Gotto, l’uomo a cui andrebbe attribuita la decisione di eliminare, con l’accordo dei servizi deviati e dell’ordine massonico dei “Corda Fratres”, il giovane medico. E’ evidente che questo sarebbe potuto accadere solo nel caso in cui Cattafi non avesse rivestito un ruolo di poca importanza. In Cosa Nostra le decisioni non sono prese da “chiunque”, esistono ruoli da rispettare, gerarchie che non possono essere superate senza incorrere in situazioni pericolose per la propria esistenza. Eppure di recente, dicembre 2015, la Corte d’Appello di Messina ha ridotto la pena di dodici anni, a cui il Cattafi era stato condannato, a sette sulla base di due considerazioni: l’uomo non sarebbe più dentro Cosa Nostra dal 2000 e non avrebbe alcun ruolo di pericolosità sociale.
Il presunto mandante dell’omicidio di Attilio Manca, è un personaggio inquietante, attivo già nella guerra fredda, come esponente di spicco dell’estrema destra. Erano gli anni ’70, l’Italia doveva essere difesa dai comunisti. I camerati di battaglia, al fianco di Rosario Pio Cattafi, erano Pietro Rampulla, diventato boss di Mistretta e artificiere della strage di Capaci. Dopo la laurea, Cattafi, si trasferì a Milano, dove secondo i magistrati, si dedicò al riciclaggio di soldi sporchi per conto di Santapaola, fu coinvolto nello scandalo delle tangenti dell’autoparco e nell’assassinio del giudice di Torino Bruno Caccia.
Antonio Ingroia, legale della famiglia Manca insieme all’avvocato Repici, dice che se confermate, le dichiarazioni bomba del pentito D’Amico, aprono nuovi scenari e confermano quanto da anni sostenuto dalla famiglia Manca. L’ex capo dell’ala militare di Cosa Nostra barcellonese racconta alcune confidenze raccolte tra il 2004 e il 2006, nelle quali spiccano i rapporti con i Servizi e con alcuni alti ufficiali dei Carabinieri, dietro l’omicidio camuffato da suicidio, dell’urologo Attilio Manca. Così il pentito D’Amico descrive ai magistrati le sue confidenze:” Poco tempo dopo la morte di Attilio Manca, avvenuta intorno all’anno 2004, incontrai Salvatore Rugolo, fratello di Venerina e cognato di Pippo Gullotti (condannato all’ergastolo quale mandante dell’omicidio di Beppe Alfano). Lo incontrai a Barcellona Pozzo di Gotto, presso un bar che fa angolo, situato sul ponte di Barcellona, collocato vicino alla scuola guida Gangemi. Una volta usciti da quel bar Rugolo mi disse che ce l’aveva a morte con l’avvocato Saro Cattafi perché aveva fatto ammazzare Attilio Manca, suo caro amico. In quell’occasione Rugolo mi disse che un soggetto non meglio precisato, un generale dei Carabinieri, amico del Cattafi, vicino e collegato agli ambienti della Corda Fratres, aveva chiesto a Cattafi di mettere in contatto Provenzano, che aveva bisogno di cure mediche alla prostata, con l’urologo Attilio Manca, cosa che Cattafi aveva fatto”. Salvatore Rugolo, medico di base di Barcellona P.G. morì nel 2009 a 59 anni, in un incidente stradale.
Restano quindi da verificare le parole di Carmelo D’Amico. Si deve tentare nuovamente di capire se si può aprire uno squarcio su una vicenda sepolta nel buio, che a molti forse farebbe comodo che restasse oscurata perché, se si dovesse provare che quel giovane medico è stato ucciso come dichiarato dal collaboratore di giustizia, questo potrebbe permettere anche di risalire a legami non ancora svelati. Tutto al momento sembra ancora una grossa massa da dipanare anche perché il D’Amico ha parlato di questi fatti dopo 180 giorni, arco di tempo entro il quale la legge impone a chi vuole collaborare di raccontare i fatti di cui è a conoscenza; sempre il D’Amico se vuole essere attendibile dovrà inoltre supportare quanto sostiene con indicazioni certe. I pronunciamenti dei giudici precedenti infine sul caso Manca si sono chiaramente indirizzati fino ad ora verso altre conclusioni, ritenendo l’ipotesi del suicidio la più attendibile. Occuparsene ancora potrebbe servire a fare chiarezza.
Patrizia Vindigni – Claudio Caldarelli