Sciascia informato male

Trenta anni fa il più importante giornale italiano pubblicò un articolo di Leonardo Sciascia con il titolo “I professionisti dell’antimafia”. “Fin da subito, scrive Gian Carlo Caselli su Il Fatto Quotidiano, l’articolo divenne famoso per alcuni e famigerato per altri. Anche oggi le polemiche continuano. Felice Cavallaro, ad esempio, sempre sul Corriere ne ha fatto una rievocazione elogiativa, di lungimiranza…”.
Ma già Nando Dalla Chiesa ha risposto sulle lacune di Sciascia pubblicate nell’articolo, sottolineando la capziosità si alcune tesi. Così, lo stesso Caselli condivive ciò che ha scritto Dalla Chiesa, aggiungendo alcune riflessioni.”Nel suo articolo Sciascia, sostanzialmente, affrontava due temi: il rapporto della mafia con la politica e con la giustizia. Sul primo versante avrebbe potuto prendersela con Ciancimino o Lima o Andreotti. Scelse invece come bersaglio Leoluca Orlando, non riconoscendogli neppure il tentativo di porre alla base della sua attività istituzionale una nuova cultura politica, avversa a legami più o meno occulti con la mafia”.
Scrive ancora Caselli che sull’altro versante, Sciascia non fece nessun accenno ai magistrati che si “scantano” o si scansano, quelli cioè che hanno paura o preferiscono la vita tranquilla, per cui non vedono o si tirano indietro e continua sottolineando che Sciascia fece:” un attacco furibondo invece contro Paolo Borsellino, uno dei più validi componenti (insieme a Falcone) del pool di Chinnici e Caponnetto che aveva ottenuto, con il maxi-processo, la prima sconfitta di Cosa Nostra dopo secoli di impunità. Roba da niente secondo Sciascia, in ogni caso non sufficiente per giustificare la nomina di Borsellino a procuratore di Marsala, zona ad alta intensità mafiosa, a fronte di un concorrente più in diritto di ottenere quel posto, perché più anziano, ancorchè mai incaricato di un processo di mafia. Di qui l’accusa assurda a Borsellino di essere un “professionista dell’antimafia” nel senso di un arrivista che sgomita per scavalcare colleghi più meritevoli (per l’anagrafe). Un’accusa che dopo la strage di via D’Amelio sarebbe una bestemmia riprendere.
Paolo Borsellino, amava i libri di Leonardo Sciascia, ne era un affezionato lettore e un sostenitore, cercò quindi una sorta di riappacificazione nonostante la sofferenza, l’amarezza e la rabbia provata per ciò che aveva scritto su di lui. “Borsellino era sicuro, (lo disse più volte a Ingroia suo strettissimo collaboratore) che con quella polemica era iniziata la fine del pool di Palermo. Come era sicuro che qualcuno che non l’amava avesse fornito a Sciascia informazioni tendenziose. Ora che vi sia stato un Suggeritore emerge chiaramente –continua Caselli- dalla circostanza che Sciascia cita testualmente vari passi del “Notiziario straordinario 10.9.86, n.17, del Csm” vale a dire una pubblicazione che certo non figurava nella sua biblioteca né fra le sue abituali letture. E’ un fatto che l’articolo alla fine produsse effetti dirompenti, ma a farne le spese fu…Giovanni Falcone. Quando si trattò di nominare il successore di Caponnetto, invece di Falcone (il più bravo di tutti nell’antimafia) venne designato un magistrato praticamente digiuno in materia, ma più anziano. Complice l’articolo di Sciascia, sbandierato come un trofeo dai componenti del Csm inclini alla bagarre. Così. Il criterio della professionalità specifica (previsto in una delibera del Csm del 15.5.86, ignorata da Sciascia, per la nomina dei dirigenti di uffici di “frontiera” antimafia) già adottato con Borsellino, venne cancellato per Falcone. Motivando la spregiudicata giravolta anche con la necessità di valutare “prima di schierarsi, quale orientamento fosse prevalente fra i giudici e all’interno delle correnti di Palermo” (così Vincenzo Geraci, capo fila del ribaltone). Come a dire che un pugno di voti a favore della propria cordata contava più del rispetto dovuto alla professionalità di un magistrato come Falcone”.
Alla luce di elementi così rilevanti è innegabile che la lotta alla mafia dopo la bocciatura di Falcone subì un arretramento. Lo Stato si ritirava nel momento in cui avrebbe dovuto essere più incisivo sulle questioni riguardanti la mafia. In questo contesto così negativo, Sciascia ebbe un ruolo importante, quando il cedimento alle suggestioni dell’informatore interessato fu usato strumentalmente contro Falcone, con tecnica vile e spregiudicata. Scrive Caselli che” il contributo di Sciascia fu forse inconsapevole, nel senso che egli non si curò dei possibili effetti nefasti sull’antimafia in generale che il suo articolo su Borsellino poteva avere. Ma di certo è radicalmente sbagliato attribuirgli lungimiranza o addirittura lucidità profetica per un articolo che in pratica fu un passo falso venato di astrattezza”.

di Claudio Caldarelli

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