Se l’Onorevole non è poi così onorevole.

Onorevole: letteralmente colui che è degno d’onore, onorato, che gode di alta reputazione; e l’onore, di contro, è quel sentimento che comprende la reputazione, l’auto percezione o l’identità morale di un individuo o di un gruppo. In passato l’onore è stato fondamentale principio guida della società, vero e proprio codice etico e di comportamento, difeso e riconquistato anche al prezzo della vita stessa, e addirittura disciplinato in ambito giuridico attraverso il riconoscimento del cosiddetto “delitto d’onore”. Culture lontane ci raccontano di uomini – Samurai – fedeli ad un ideale di giusti valori – Bushido – da perseguire fino alla morte e, a volte, attraverso la morte stessa: il venir meno a questi valori (onestà, lealtà, giustizia, pietà), infatti, significava perdere l’onore, che poteva (e doveva) essere riconquistato attraverso il Seppuku, il suicidio rituale. Onorevole, quindi, è chi difende ad ogni costo il proprio onore attraverso la totale appartenenza a quei personalissimi principi etici e morali posti alla base della propria condotta di vita. In accezione politica “onorevole” sta ad indicare i membri del parlamento chiamati a rappresentare il popolo; e se il termine stesso “politica” rimanda al concetto di “Polis”, città – stato, la politica è definita come l’arte di governo della “Polis” il cui unico fine è il bene comune. L’Onorevole è, quindi, colui che, nell’esercizo del suo ruolo di governo, resta fedele fino in fondo agli ideali posti alla base della propria ideologia politica, e li persegue incessantemente poiché strumento di realizzazione di un bene superiore, il bene comune. Forse. Perché oggi più che mai assistiamo ad un fenomeno “migratorio” di proporzioni enormi. L’attuale legislatura, infatti, detiene il record di “cambi di casacca”, il doppio rispetto alla precedente; con una media di circa 8,5 cambi al mese e il 28% degli eletti che ha fatto almeno un salto in un’altra forza politica, si conta che alla Camera solo 4 gruppi parlamentari su 11 siano espressione delle liste, mentre al Senato solo 3 su 10; percentuali che rimandano ad una cifra vicina alle 500 unità. Figure di spicco in questo panorama di “voltagabbana” una sessantina circa di “recidivi”, i quali hanno cambiato gruppo almeno in due legislature, capitanati dal senatore Luigi Compagna, che ha “vagato” attraverso gruppi diversi entrando ed uscendo per almeno 6 volte, dopo essere stato eletto nel 2013 con il Pdl, schieramento di cui, in aula, non ha mai fatto parte. Difficile individuare, in un calderone simile, una continuità ideologica; e l’aggettivo “onorevole”, forse, nel suo significato profondo, andrebbe riservato solo a quei parlamentari che abbiano realmente “onorato” per almeno una legislatura gli impegni presi con gli elettori, che hanno votato sì l’uomo, ma anche e soprattutto la lista e, quindi, le idee rappresentate. In questo panorama di frammentazioni e voltafaccia, migrazioni e alleanze strategiche, incoerenza e ripensamenti, in cui il fine primario di governo, il bene comune, sembra essere stato completamente accantonato, l’unico obiettivo auspicabile sembra essere la riconquista dell’onore perduto da parte dei cosiddetti “Onorevoli” attraverso un metaforico Seppuku, che si concretizzi con le dimissioni di chi non è in grado di garantire la coerenza a quei principi e a quei valori posti alla base dell’ideologia politica di cui si è fatto portavoce, e che è stato chiamato a rappresentare dal popolo che lo ha votato.

di Leandra Gallinella

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