Dalla Nigeria in Italia, la strada della schiavitù femminile

Il viaggio di chi raggiunge le coste europee dopo essersi imbarcato clandestinamente, investendo molto e rischiando la vita, si sa, non finisce non appena si tocca terra. Il calvario che i migranti credono di essersi lasciati alle spalle lasciando la loro terra prima e il mare poi non ha che mutato forme, cambiato volto, nome, lingua. L’inferno che tra i molti migranti, le donne cercano di fuggire, a volte non ha che mostrato soltanto le sue porte.
Sono nigeriane le donne che trovavano – e trovano, purtroppo, ancora – l’inferno in Italia poiché costrette a prostituirsi una volta arrivate nel nostro paese, risucchiate in un giro criminale che, con basi logistiche in nord Africa, riusciva a “piazzare sul mercato” ragazze tra i 14 e i 20 anni che giungevano sulle nostre coste tramite i flussi migratori clandestini i cui sbarchi conosciamo abbastanza bene. Gruppi organizzativi in parte individuati e che un’inchiesta condotta dai carabinieri del Ros e del Nucleo investigativo e del Comando provinciale di Lecce ha permesso di bloccare, arrestando cinque nigeriani accusati di associazione finalizzata alla schiavitù di tipo sessuale: un’inchiesta resa possibile dalla denuncia di una madre che ha visto sua figlia sparire. Il reclutamento sul territorio è infatti la prima fase di un disegno che vede le ragazze essere accuratamente scelte e poi smistate e inserite nei gruppi di clandestini che, in attesa di imbarcarsi, non esitano di fronte alla violenza. E così, il viaggio che inizia, non si interrompe certo nei nostri centri accoglienza, dove “angeli” prelevano le ragazze per smistarle in tutta Italia, merce rara di uno scambio in cui il sogno di una vita migliore svanisce per diventare desiderio di non aver mai lasciato certe terre: certo non quello che il paese che accoglie queste persone – soprattutto se si dichiara paese facente parte di una società “civile” – deve offrire…

Di Giusy Patera

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