Votarem! Impressioni da Barcellona pre-referendum

Quando sono atterrata a Barcellona un mese fa, ho trovato una città certamente impegnata, ma sorprendentemente meno in fermento di quanto mi aspettassi dalla capitale di una regione prossima al referendum secessionista. Da novizia barcellonese, certo non speravo di cogliere appieno la natura della militanza catalana, né di riuscire a capire come si manifestasse nella quotidianità cittadina. Ciò che era evidente erano le bandiere appese ai balconcini e le chiacchiere dei locali da cui traspariva il disappunto rispetto all’atteggiamento paternalista prima, repressivo poi, del governo spagnolo, eccitazione per il voto e talvolta scetticismo. Nell’insieme, una situazione abbastanza tranquilla. Nei 30 giorni che sono seguiti però il clima è enormemente mutato. Lo Stato spagnolo ha alzato sempre più la voce, fino a confiscare materiale elettorale, chiudere futuri seggi, oscurare i siti web dedicati al referendum e arrestare pubblici ufficiali. Infine, ha disposto l’invio in Catalogna e in particolare a Barcellona, di migliaia di poliziotti da tutta la Spagna. Con l’inasprirsi di quella che è diventata una vera e propria repressione, la città si è quindi scrollata di dosso sia il blando attivismo a tratti intorpidito di alcuni che lo scetticismo alienante di altri, ed è scesa in piazza, disorganizzata e spontanea, in momenti diversi con attori variegati. Dagli studenti universitari, che hanno occupato le università, alle famiglie, anziani, residenti catalani e non, iberici e non, reclamando su tutto il diritto di esprimersi, più che l’appoggio all’indipendenza.

 

La differenza tra i due diversi momenti verso il referendum la si percepisce specialmente mettendo a confronto due eventi cittadini di enormi proporzioni: l’uno, la festa della Diada, giornata nazionale catalana che si celebra l’11 settembre, l’altro la Mercè, una manifestazione di quattro giorni, che quest’anno si è svolta da venerdì 22 a lunedì 25 settembre, che ha origini religiose ma che è oggi una manifestazione culturale vivacissima con eventi sparsi per tutta la città ad ogni ora del giorno, fino a tarda notte.

L’aria che si respirava il giorno della Diada, in un Arc de Triomf, zona centrale teatro di molte manifestazioni, gremito di gente, era di eccitazione collettiva rispetto al referendum imminente, con una piazza nettamente propendente all’indipendenza. I quattro giorni della Mercé invece hanno visto una città intera partecipare agli eventi sempre con un occhio rivolto alla politica, questa volta sottolineando a gran voce che il primo ottobre si sarebbe andati a votare per esprimersi e basta, indipendentemente dalla propria idea. Mentre prima del pugno duro di Madrid esisteva una polarizzazione tra chi voleva l’indipendenza ed il voto e chi, non d’accordo, dichiarava in più che il referendum fosse illegale, dopo la stretta spagnola percepita come anti-democratica e repressiva, di stampo franchista, questa polarizzazione si è rotta, non solo a Barcellona, che fa da eco al resto della Catalogna,

ma anche in diverse città spagnole. La retorica adesso è solamente sul diritto ad esprimersi.

L’elemento più spettacolare è senza dubbio la pacificità con cui i catalani hanno reclamato l’indipendenza prima ed il diritto a votare poi, nonostante le crescenti provocazioni dello Stato spagnolo, che ha cercato di spingerli fino al limite della violenza, senza mai riuscire a farglielo oltrepassare.

di Giulia Montefiore