Strage di Pizzolungo: trentatré anni dopo

È una bella mattinata. Una mattinata di primavera, il cielo azzurro, il sole splende alto. Siamo in Sicilia. Una giovane madre accompagna a scuola con la macchina i suoi due figli, due gemellini di sei anni. Come ogni giorno percorre quella strada sulla sua Volkswagen Scirocco. Quella strada che da Valderice arriva a Trapani costeggiando il lungomare.

È il 2 aprile del 1985 e una donna, una giovane madre, Barbara Rizzo, sta conducendo a scuola i suoi due gemellini, Giuseppe e Salvatore Asta. Una mattinata di primavera come tante per Barbara e i suoi due figli. Ogni mattina prende quella strada. Una strada che costeggia il mare. Una curva e un’auto che sorpassa ad alta velocità. Poi un rumore sordo, fortissimo, di quelli che fermano il tempo per alcuni minuti. Una mattinata di primavera come tante per Barbara e i suoi due figli, diventata l’ultima della loro breve esistenza.

Un’altra auto quella mattina percorre lo stesso tratto di strada. È una Fiat 132 blindata a velocità sostenuta, seguita da una Fiat Ritmo di scorta non blindata. Deve percorrere quella strada in fretta, deve arrivare al Palazzo di Giustizia di Trapani il prima possibile. A bordo infatti c’è un uomo che si chiama Carlo Palermo, arrivato in Sicilia per fare il suo lavoro di magistrato.

Fare il magistrato da quelle parti, dalle parti di Trapani, può essere pericoloso.  A Trapani ufficialmente la mafia non esiste. Due anni prima, proprio a Valderice, il magistrato Giangiacomo Ciaccio Montalto era stato ammazzato davanti casa. Lo sapevano tutti che quell’omicidio era un affare di mafia, ma nessuno lo diceva apertamente. Tutto ma non la mafia. A Trapani ufficialmente la mafia non esiste.  Carlo Palermo lo sa, sa benissimo che a  Trapani la mafia esiste. E rischia di finire come Ciaccio Montalto. Lui non è arrivato da Trento a Trapani per caso. A Trento ha indagato sul traffico di stupefacenti e la criminalità organizzata e spesso le sue inchieste si sono incrociate proprio con quelle di Ciaccio. Proseguiva quelle che erano state le indagini di Giangiacomo Ciaccio Montalto, ucciso a Trapani due anni prima.

L’autista della Fiat accelera e all’altezza della curva di Pizzolungo supera la Volkswagen con Barbara e i gemellini. Solo che quel sorpasso la Fiat 132 non avrà mai il tempo di completarlo. Un boato. Un rumore sordo, fortissimo. Un istante infinito di terrore e di morte.

Quella mattinata del 2 aprile del 1985 la vita della famiglia Asta si intrecciò per sempre in un sorpasso e nel contemporaneo scoppio di una bomba, con quella del giudice Carlo Palermo. Il giudice Palermo era l’obiettivo dell’autobomba parcheggiata lungo la strada costiera che porta verso Trapani. Il sorpasso effettuato dalla Fiat 132 sulla quale viaggiava Palermo sulla Volkswagen  Scirocco della signora Asta gli salvò la vita. Proprio in quel momento infatti ci fu la deflagrazione che disintegrò la vettura della famiglia Asta. Dell’auto e tantomeno dei corpi non è rimasto quasi nulla, se non qualche traccia di sangue su un muro, dei piccoli brandelli e una scarpa di uno dei due bambini. Talmente poco che lo stesso marito di Barbara, Nunzio, tra i primi soccorritori del giudice rimasto ferito, non si accorse di nulla di quanto accaduto ai suoi cari e solo qualche ora dopo venne informato dalla polizia. Nunzio morirà qualche anno dopo di crepacuore, lasciando da sola la figlia Margherita, all’epoca della strage undicenne, che si salvò soltanto perché quella mattina andò a scuola accompagnata da una vicina di casa.

Barbara Rizzo, in Asta, è stata brutalmente assassinata nella strage di Pizzolungo, frazione di Erice, in provincia di Trapani. Assassinata  mentre accompagnava, poco dopo le 8:35 del mattino, a scuola  i suoi piccoli gemelli, Salvatore e Giuseppe, di soli sei anni, uccisi anche loro dall’autobomba destinata a colpire il magistrato Carlo Palermo. “Cosa Nostra” intendeva uccidere il magistrato italiano, un magistrato scomodo, uno di quelli che aveva deciso di mettere il naso nel lucroso affare della droga, ma provocò la morte di una donna e dei suoi due figli gemelli. Doveva spazzare via il giudice Carlo Palermo, doveva farlo fuori, a pezzetti. Solo che in quell’esecuzione si sono infilati per caso Barbara, Giuseppe e Salvatore. L’auto di Barbara Asta fece da scudo, proteggendo la vettura del giudice, il quale uscì miracolosamente illeso dall’attentato. L’esplosione si udì a chilometri di distanza. Nella Scirocco esplosa muoiono dilaniati la donna e i due bambini. La loro auto disintegrata. Sul luogo della strage una voragine.

Per la strage di Pizzolungo, nel trapanese, sono stati condannati all’ergastolo: Totò Riina, Balduccio Di Maggio, Vincenzo Virga e Nino Madonia.

Dopo la strage di Pizzolungo Carlo Palermo, molto provato, si è dimesso dalla magistratura.

Ennesima strage di mafia e la memoria di un’intera famiglia innocente distrutta dalla vile criminalità mafiosa. La strage di Pizzolungo 33 anni dopo ancora senza verità. È un capitolo giudiziario aperto a 33 anni di distanza.

Questa è una storia troppo “dimenticata”, quella di questa famiglia sventurata. La mafia esiste. L’attentato di Pizzolungo è una storia di mafia.

di Maria De Laurentiis

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