Il pesciolino di Nicolae: Città in metamorfosi – capitolo due

Città in metamorfosi

Una città in metamorfosi che nasconde ciò che sta diventando. Ecco quello che penso ogni volta che passo di lì, con nella mente gli occhi di Nicolae che mi guardano interrogandomi di non so cosa. Per chi non prende mai il mio treno per viaggiare, per lavoro, per andare a scuola, per qualsivoglia motivo, questa è una realtà che non esiste. Che se qualcuno gliene mostrasse le foto non penserebbero siano a Roma. Tutte quelle baracche a ridosso del fiume Tevere, che sembra se ne caschino giù. Eppure è così. Una bidonville in piena regola, a ridosso di centri sportivi e rimesse di automobili. Che anche gli sguardi attoniti dei viaggiatori faticano a sopportare.

Città in metamorfosi che sopporta e gente in metamorfosi che non sopporta più nulla e nessuno. Gente incazzata anche di uno spazio rubato per costruire una baracca, come di un lavoro rubato ad un semaforo, di un campo rom rubato a case popolari. Di spazi vuoti ora riempiti. Persone dall’aria scocciata che una mattina d’estate borbottano e inveiscono, vedendo che apro le porte a “loro”, agli zingari, ai rom. Dicono che rubano sul treno. Non sono zingari provo a spiegare. Sono rom. Il popolo rom. Hanno una cultura, una loro dignità. Si inscena quasi una rivolta.

Chiudi le porte, chiudi le porte” mi intimano i passeggeri. E’ così che lo vedo per la prima volta Nicolae. Vedo che mi guarda con quel suo sguardo interrogativo. Non capisce. Non comprende perché la gente urla contro di lui. E’ confuso e con gli occhi cerca invano uno sguardo benevolo, un appoggio, un segno. Gli sorrido. Lo accolgo con lo sguardo.

Fa veramente caldo quel giorno, i bambini smaniano, i più piccoli piangono, hanno sete e sono stanchi. Gli apro la porta a Nicolae e gli dico” Entra, qui starai più fresco.” Gli occhi del padre per un attimo increduli mi seguono in cabina e sembra quasi si voglia scusare della loro presenza, della loro magrezza, dei loro vestiti indecenti. Dal profondo delle sue scuse colgo tutta la sua dignità.

di Claudio Caldarelli

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