Ma nelle Torre Maura d’Europa l’integrazione è possibile?

Non potrai arrotolare le tue dita attorno ai miei lunghi capelli biondi”, recita la battuta finale della pièce teatrale I Negri, scritta nel 1958 da Jean Genet. Lo dice il personaggio Virtù a quello di Villaggio. I suoi capelli sono, vogliono restare neri e crespi, e come tali non solo riconosciuti ma adorati. Oltre sessant’anni fa il grande drammaturgo e poeta francese mostrava che il sommovimento sotterraneo della contemporaneità già non reclamava più il riconoscimento di una generica parità di diritti, ma puntava decisamente alla legittimazione della specificità, della differenza, anche a scapito di quei diritti egualitari, balzati prepotentemente sulla ribalta della Storia con la rivoluzione prima americana e subito dopo francese. Un altro grande filosofo e sociologo francese, Jean Baudrillard, scomparso nel 2007, ci avverte di come proprio la spinta globalizzante all’omologazione americana sia alla base dell’azione terroristica mondiale contro gli Usa. Una lacerazione storica, antropologica, sociale, religiosa che continua a segnare drammaticamente, spasmodicamente la nostra attualità politica. Non occorrerebbe, però, neanche arrivare alla rivendicazione della propria differenza identitaria eretta a Stato, a regime, come in più aree geopolitiche islamiche. In esse tale identità è anche sollevata per ergersi a rappresentanti della spinta planetaria al riscatto dei popoli più poveri, contro l’Occidente ricco, sfruttatore, ateista. Il ritorno all’integralismo cattolico, al razzismo conclamato, al negazionismo storico proclamato, sono la risposta del mondo occidentale proprio a tale tendenza, per la riaffermazione della superiorità e sovranità dei suoi popoli dentro e fuori i suoi confini nazionali.

Non si può, naturalmente, separare tale configurazione internazionale da ciò che avviene all’interno dell’Occidente. Dobbiamo avere ben presente, però, quale sia oggi la reale estensione di ciò che chiamiamo Occidente. Da tempo esso è debordato fuori delle sue frontiere storiche per incistarsi, globalizzarsi fin dentro le viscere, il sottosuolo delle aree geografiche e antropologiche più remote. È dunque la specificità occidentale che connota spinte, controspinte, risposte e contro-risposte. La divisione, la specializzazione del sapere, in scienze via via specializzate e sotto-specializzate, quale connotazione originaria dell’Europa, è soprattutto una frammentazione dei punti di vista, delle interpretazioni delle realtà. Non a caso Nietzsche afferma: “Non esistono fatti ma solo interpretazioni”. Non è che non sia recentemente avvenuto a Roma il cosiddetto caso Torre Maura, e subito dopo il caso Casalbruciato. Solo che un fatto, un dato di fatto – come una molecola composta da due atomi di idrogeno e uno di ossigeno – dovrebbe contenere di per sé una verità incontrovertibile. Su quei due casi delle periferie romane, invece, ognuno proclama la propria verità. Non solo la proclama ma cerca di imporla agli altri come verità incontrovertibile. Verità, però, che non ha la stessa cogenza chimico-matematica di una molecola d’acqua. Essa è solo una particolare interpretazione, contrapposta a tutte le altre. Così che per imporre agli altri la propria interpretazione della verità occorre munirla di un’autorità, di una forza che non sono solo argomentative. Anzi, quello di Torre Maura non è solo un caso di esercitazione diretta della violenza contro qualcuno ma – inseparabilmente – anche un’interpretazione violenta del suo significato.

La polis, ossia l’originaria città-stato dell’antica Grecia, come fondamento dell’Occidente, elabora teoria e prassi della politica, proprio per prevenire, attutire, equilibrare, cercare di aggirare, lo scontro diretto tra le divergenti, violente interpretazioni della realtà. Divergenza che tende ad arrivare – come è spesso accaduto – a una fratricida guerra civile interna. Politica e Democrazia, come massimo portato storico dell’Occidente, sono state il vero strumento dell’integrazionesociale interna. Spinte violentemente opposte sono state poliziescamente represse ma anche politicamente assorbite, dinamicamente intrecciate dentro la cornice di una civiltà che si è fatta egemone su tutte le altre.  Talmente egemone che non si è limitata a sottometterle militarmente, ma le ha svuotate, dall’alto e da dentro, procedendo a riempirlesotterraneamente della propria specializzazione, amministrazione e produzione tecnica.

L’integrazione interna, sociale e culturale dentro l’Occidente è proceduta soprattutto sul filo della razzia di terre, schiavi, lavoro e materie prime in esterno, sulla scorta di una superiorità che è stata e continua a essere in primo luogo tecno-scientifica. Nella meccanica, nella chimica, nelle armi, nei trasporti, nelle comunicazioni, nella medicina. Ecco, allora, che l’Occidente viene ad essere abitato non per la chimera d’una integrazione possibile, dato che non c’è più un sottosuolo esterno da svuotare e riempire tecnicamente, ma è tutto ormai interno sé stesso. Chi – da oltre le frontiere prima esterne – viene ora ad abitare quelle interne, ha già sperimentato sulla propria memoria che l’Occidente è questa divisione, questo costituirsi specializzato di verità contrapposte. Esso viene dunque a essere abitato in quanto possibilità di piena manifestazione delle proprie non riconciliate e non riconciliabili differenze sul piano etnico, delle fedi, delle ideologie, degli usi, dei gusti e dei costumi. L’unico criterio di manifestazione della propria weltanschauung, visione, interpretazione del mondo è quello della forza. Forza per difenderla, farla riconoscere, affermarla e anche imporla, perché ci saranno forze contrapposte – magari al momento più potenti, violente – che cercheranno di aggredirla, misconoscerla, diffamarla, annientarla. Sì, annichilirla, perché quando in tv sentiamo una coppia di giovani sposi dire che non parlerebbero mai con un rom, perché non sono come noi, sta negando, in realtà, la loro appartenenza al genere umano. Se, però, l’umano deve essere questo annullamento che i due sentenziano e proclamano, meglio davvero, allora, non essere umani.

Non la forza per combattere il degrado che tutti subiamo dai padroni dello scempio edilizio e ambientale, per vederci riconosciuti i diritti del vivere civile, sociale, ma sola la violenza da esercitare contro una differenza di minoranza al momento più debole, per affermare la propria. Dalle Torre Maure di ogni periferia d’Europa, del mondo, agli atolli minacciati dai cambiamenti climatici, non c’è più possibilità d’integrazione. La politica, infatti, essendo ormai del tutto subalterna alla turbo-economia e questa dipendente dalla tecno-scienza, da tempo non è più in grado – e sempre meno lo sarà – di mediare e offrire una cornice di ricomposizione ai dissidi e conflitti identitari. L’identità – da quella personale a quella etno-nazionale-religiosa – rimane così l’ultimo simulacro dei diseredati del mondo.

Si viene, infatti, ad abitare soltanto un’ulteriore illusione. Quella che la potenza tecnica dell’Occidente possa essere neutralmente assoggettata ai fini dell’affermazione della propria particolare visione sullo stesso mondo occidentale. È vero che tale potenza non sta certo a guardare il colore della pelle di popoli e persone. Lo fa, però, solo e soltanto ai fini del proprio ulteriore, infinito sviluppo. Non certo ai fini di fedi o convinzioni ideologiche del secolo e del millennio trascorso. Anzi, sfrutta quell’illusione per espandere ancora di più un ricorso così capillarmente generalizzato agli attuali e futuri mezzi tecno-elettronici da estenderne simultaneamente il dominio e la sottomissione a essi. E soltanto questa sarà – alla fine dell’illusione – la vera e unica Super-integrazione planetaria forzata.

di Riccardo Tavani

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