M’bebe si chiamava, forse …

Le baraccopoli sono i forni crematori per gli “Olocausto” dei migranti. Nel forno del ghetto di Borgo Mezzanone, a pochi chilometri da Foggia, è morto bruciato un ragazzo di 26 anni. M’bebe si chiamava, forse…e veniva dal Gambia per lavorare. Morire a 26 anni, lontano da casa, dentro una baracca di lamiere e cartoni, dentro un forno di cui tutti conoscono l’esistenza, a cui tutti sono indifferenti. Senza un nome, senza un lamento, senza nessuna lacrima. L’Olocausto dei migranti si consuma nel silenzio e nella colpa di milioni di italiani che plaudono il ministro Salvini per la legge sulla legittima difesa, ignorando o facendo finta di ignorare il dramma di migliaia di fratelli che vivono nelle baraccopoli di fortuna, veri forni crematori annunciati. Forni che carbonizzano decine di persone, donne e bambini. Forni che non danno scampo, non ti lasciamo nessuna possibilità di sopravvivere se non quella di morire atrocemente tra le fiamme. M’bebe, si chiamava, forse…gli era stata respinta la sua richiesta di asilo. Era un irregolare. È morto da irregolare. È morto per l’indifferenza del governo, per il menefreghismo del paese, è morto, M’bebe, si chiamava, forse…in un paese che ancora trova il coraggio di ricordare il 25 aprile, festa della Liberazione dal nazi-fascismo. Si chiamava M’bebe, forse…ed è bruciato a causa del nazi-fascismo che sta ottenebrando le menti di un popolo che ha lottato con la Resistenza. Il suo corpo, completamente carbonizzato è stato trovato tra le macerie. Solo. Rannicchiato su se stesso. Forse, si chiamava M’bebe e piangeva mentre bruciava e urlava. Urlava senza voce, soffocato dal fumo e dalla disperazione della sua solitudine. Aveva 26 anni, evviva dal Gambia in cerca di lavoro con la speranza di essere accolto, ha trovato solo una baracca, un moderno forno crematorio riservato in esclusiva ai migranti. M’bebe, si chiamava forse… e l’Olocausto continua…

di Claudio Caldarelli

Print Friendly, PDF & Email