Diario di bordo. Anno 2020 nell’era del coronavirus.

Persone smarrite in giro per i quartieri, chi corre, chi cammina con il cane, chi vaga in macchina indossando la mascherina. E’ quasi commovente, ci si guarda con complicità.

Questi giorni sembra tutto surreale, addirittura qualcuno si lamenta perché deve stare a casa.

Non si può andare al centro commerciale (sigh!)

Sembra quasi che siamo diventati incapaci di fare  le cose semplici, stare in famiglia, coccolarci, godere anche il fatto di non fare nulla insieme. Essere una famiglia ( anche a distanza).

Forse è la paura, è la mancanza di normalità che ci fa sentire soli anche se non lo siamo.

C’è un grande bisogno di riscoprire il significato di libertà.

Ogni giorno ti svegli al mattino con il canto dei passerotti e ti sembra tutto come sempre, ma un attimo dopo ricordi che tutto è cambiato e realizzi che l’ irrequietezza della notte è per chi in questo momento è in prima linea, per chi è costretto a lavorare in condizioni critiche, per chi ha dovuto fare la serrata e non sa come arriverà a fine mese. Per chi non ha una casa dove stare, per chi è solo in casa.

E poi senti i bambini che giocano in giardino e vedi i ragazzi che sorridono e studiano e si incontrano virtualmente e ti fanno sperare che torneremo in spiaggia a sentire il rumore del mare.

Allora capisci che ci sono momenti in cui è necessario smontare ogni singolo pezzo di noi stessi per poi riassemblare tutto.

Le nostre radici profonde, le esperienze, le nostre attitudini.

In ogni collage si aggiunge qualcosa di nuovo, di importante.

Una sfumatura di colore diversa, una forma nuova. Cambiare vuol dire sempre evolversi.

E così guardi fuori dalla finestra il sole che nasce e tramonta ogni giorno, con il profumo dei pini, orgogliosi e fieri.

E la gente che suona e canta dai balconi per esorcizzare la paura.

È la tua gente, il tuo paese che a volte contesti, ma che alla fine profondamente ami.

di Susi Ciolella